Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

non suona molto diverso, seguito da oggetto dolce per sé, appunto, com'è il bel viso ecc. di Laura (morta): ch'i' pur fui vostro, dice Petrarca (v. 10), e Leopardi: o donna MIA, «nel significato paradossale - chiarisce Contini - non della "donna che io ho", bensì, e unicamente, della "donna che mi ha"»13 • Ecco quanto adesso ci occorre del son. CCLXVII: Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, oimè il leggiadro portamento altero, oimè il parlar eh'ogni aspro ingegno et fero facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo! et oimè il dolce riso, onde uscìo 'l dardo di che morte, altro bene ornai non spero: [... ] Cinque oimè più un ornai (sicché perfino humile e huom, convenuti nello stesso verso che sfugge all'anafora, entrano nel giuoco) piantati non diciamo con Lorca nel cuore ma nella memoria, nel subconscio di Leopardi, che nello stesso Discorso di un italiano festeggia Petrarca (con parole del Breme) come «miracolo d'ineffabile sensibilità». Ma dunque di che cosa si ha ragione di stupirsi? Si ha ragione di stupirsi del fatto che, nell'intento di spiegare come il positivo contenuto in Dolce possa esser sentito - ben dice il Peruzzi citando Leopardi, Zib. del 5 marzo 1821 - con «finissimo dolore», si trascuri di collegare Dolce e donna per la via ineludibile del suono, e quindi donna a dormi, ripreso con anafora tanto significativa. La viva testualità sembra insomma non finir di accusare questa forza d'attrazione reciproca per la quale Mallarmé parla così volentieri di fuochi, faccette di pietre preziose ecc. Non solo, come tutti sanno, don don può dire al Pascoli DOrmi, ma una congiunzione di buon piglio, un dunque, dice donna, o meglio certissimamente serve a ripetere potenziandolo donna, se, come nel sonetto petrarchesco 223

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