Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

femministe di diversa scuola, ma anche fra femministe e non, e realisticamente conclude «if feminist criticism calls anything into question, it must be that dog-eared myth of intellectual neutrality» (p. 21). Il passo decisivo di questa studiosa verso una base teorica (anche se la Kolodny resta sospettosa di teorie precostituite), il suo auspicare un dialogo, nonché la scelta di non separatismo nel momento in cui afferma che il sogno femminista di creare tutto ex-novo è illusorio, costituiscono il pregio di questo saggio che ha gettato le fondamenta per la discussione anni '80. In realtà, questa proposta ha avuto anche diversi attacchi; alcuni dei quali sono stati raccolti dalla rivista Feminist Studies in un articolo dal titolo «An Interchange on Feminist Criticism: on 'Dancing through the minefield'». L'articolo, datato autunno 1982, è costituito da tre 'reazioni' al testo di Kolodny- quella di J. Kegan Gardiner (già citato), di Elly Bulkin e di Rena Grasso Patterson- oltre che di una controrisposta della stessa Kolodny.19 . Elly Bulkin attacca violentemente l'articolo di Annette Kolodny in quanto rappresentativo del tipo di lavoro condotto da accademiche bianche eterosessuali che sistematicamente escludono dalle loro ricerche ogni riferimento a opere di donne di colore o lesbiche. La Bulkin sopperisce al 'silenzio' di Kolodny sulla produzione lesbica fornendo una serie di riflessioni- su opere creative e critiche20; offre quindi una lista di quesiti che ogni studiosa femminista si deve porre nel momento in cui scrive o pubblica opere di critica letteraria, rispetto a -rappresentazione (per esempio, le donne di colore sono rappresentate solo in opere che trattano di argomenti razziali, o in ogni tipo di lavoro?) -l'audience (l'editore o la scrittrice si pone il problema della razza dell'eventuale audience?); -linguaggio (quando il critico parla di 'donna', 'femminista', 'lesbica', ecc., si riferisce sia alle donne bianche 239

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