linguaggio: insomma speech vs writing (Spedicato 1984: 25). In realtà c'è un gran numero di studiosi che cerca di barcamenarsi fra la tradizione pragmatica americana e le nuove sollecitazioni. Peter Carravetta nel saggio «Malinconia bianca: l'intermundium di Yale» ('84: 183-227) ha tratteggiato i percorsi di due di loro, Geoffrey Hartman11 e J. Hillis Miller12 , come esemplificativi della condizione dell'essere-presi-fra il passato e il presente, la tradizione e l'innovazione, il nazionalismo e l'esterofilia, il logocentrismo e la decentralizzazione di ogni discorso. Particolarmente interessanti sono le conclusioni cui giunge Miller: la critica non ha metodi dati, essa deve continuamente rimettersi in discussione. Critica e letteratura sono ad un tempo ospite e parassita l'una dell'altra. La decostruzione è al tempo stesso distruzione e costruzione (di altri testi): costruisce decostruendo; lungi dal ridurre il testo a frammenti disarticolati, la decostruzione ricostruisce, inevitabilmente in forma differente, ciò che decostruisce: fa nuovo ciò che disfa; rintreccia in un luogo ciò che scioglie in un altro (Miller 1979: 251, citato in Carravetta '84: 217). Per concludere queste note si può dire che se in generale è vero che il dibattito culturale e filosofico contemporaneo negli USA oggi «indugia su un lavoro di raffinamento di mezzi concettuali, di azzeramento e di radicale decostruzione delle sintesi ereditate, di dialogo ermeneutico con la tradizione del passato» (Spedicato '84:12), è anche vero che le spinte verso il passato sono spesso più forti di quelle verso il nuovo o, detto altrimenti, il richiamo al pragmatismo è castrante per coloro che, come Hartman o Miller, pure sono attratti dalle «sirene» francesi. Per sintetizzare, esistono tre correnti: i) i critici tradizionali antiteorici - di discendenza new criticai - per i quali solo il testo è: la critica ha statuto 232
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==