«interpretabile nel nome della differenza e disseminazione». La decostruzione ha enormemente sconvolto i paladini della critica pragmatica e sollevato interesse fra le generazioni più giovani, in particolare quella frangia di scrittori-critici-accademici che vanno sotto l'etichetta- ancora un'altra! - di postmoderni. Artisti-critici o critici che aspirano a fare dell'arte, ad annullare la differenza fra scrittura critica e scrittura d'arte, che sono cioè per la scrittura 'osmotica' che accolga in sé poesia e filosofia, fluendo fra territori finora tenuti separati. John Barth scrive il manifesto di questa scuola, «The literature of Exhaustion»4 nel 1967; nel 1980 rifà il punto della situazione con «The Literature of Replenishment: Postmodernist Fiction». Nasce una specie di «internazionale del post-moderno» (va da Italo Calvino a Philippe Sollers, da Raymond Federman a Richard Kostelanetz, da Jean Ricardou a Ronald Sukenick) che propone pezzi critici che stanno ai margini del testo, ponendosi essi stessi come testi. Paracritica, metacritica, sintomi dell'era postmoderna, o «età dell'indetermanenza» (indeterminazione più immanenza), come propone IhabHassan (1984b: 100; 1983:131-167), il quale definisce il critico come «tipo speciale d'artista» che «si rivela nello stile e in un complesso ed erotico atteggiamento verso il nuovo» (1984: 74). Per Hassan, la nostra era postmoderna suppone un disfacimento della cultura occidentale: disfacimento o «decostruzione, decentramento, sparizione, demistificazione, discontinuità, differenza, dispersione ecc.5 • Tali termini esprimono un rifiuto ontologico del soggetto pieno tradizionale, del cogito della filosofia occidentale. Essi esprimono anche un'ossessione epistemologica verso i frammenti e le fratture, e un corrispondente impegno ideologico con le minoranze politiche, sessuali e linguistiche.» (Hassan 1984 a: 74). Il critico postmoderno, confrontato da questo disfaci227
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