Il piccolo Hans - anno XII - n. 48 - ott./dic. 1985

Ritornare a Darwin ha per noi allora il significato di riconoscere un'incarnazione letterale del fantasma e la connessione della lettera con il luogo della fobia, ma anche quello di portarci a rifondare la questione che concerne l'utilizzazione e l'importanza per la clinica delle scoperte teoriche. Che cosa fa sì per esempio che una teoria come quella dell'aggrappamento di Hermann, che pure si affaccia continuamente nei sogni e nelle sedute degli analizzanti, risulti inutilizzabile, per l'analista, nella conduzione della cura? Perché non è rilevante e non dà frutti un'interpretazione che ne tenga conto, che tenga conto cioè di una teoria che condivido, ma non dà frutti al pari di qualsiasi richiamo al trauma della nascita o a uno psichismo fetale, che sono invece teorie che non condivido? La teoria dell'aggrappamento ci è piaciuta perché incrociava ciò che in questi anni siamo venuti elaborando relativamente alla funzione dei residui in psicoanalisi. L'aggrappamento infatti è un residuo per Hermann: niente cui aggrapparsi, tranne la madre che lo psicoanalista ungherese reintroduce però di soppiatto. Esiste tuttavia una differenza consistente in questo, che la teoria dell'aggrappamento non mi permette di collocare il soggetto in nessun luogo. Essa coincide in fondo con una genetica dell'inconscio, non con un darwinismo letterale che trova nella dottrina dell'inconscio nell'apparato psichico il suo supporto e la sua decifrazione. La teoria di Hermann è un residuo, e come tale l'abbiamo messa in evidenza, ma un residuo senza luogo, un residuo privo di disegno. Non è in riferimento all'archeologia o all'antropologia che residui arcaici acquistano importanza nella clinica. Che l'ontogenesi riassuma, neo-darwinisticamente, la filogenesi è perfettamente indifferente per l'esito della cura. Dei residui, ciò che interessa è la relazione con una pianta, con una topologia. Per questo chiamammo residui dell'ac141

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