Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

In qualche modo l'analisi tende a generare un bambino. La stessa osservanza scrupolosa del rispetto della puntualità, del rispetto, apparente, della regola fondamentale, eccetera ha come prodotto la formazione dell'immagine del bambino buono che l'analizzante decide di incarnare. Questa immagine del bambino sostituisce con soddisfazione ogni possibile apparizione d'angoscia. E nondimeno essa è un prodotto che ci viene proprio dal luogo della fobia giacché la stessa figura del bambino altro non è che la fantasia di un bambino. Non esiste il bambino se non come produzione del bambino stesso. Il bambino buono è una fantasia del bambino buono. Quando questa verità preme per tradursi in realtà, l'analisi si pone come contrasto a una traduzione che tradisce la verità. L'analista non accetta che procreare sia un fatto «naturale», così come non accetta che ci sia una sessualità senza problemi; o l'idea di una «paternità responsabile», di una sessualità che la fine dell'analisi dovrebbe rendere perfettamente amministrabile. Giacché curiosamente è proprio la fine dell'analisi a entrare in gioco quando viene prospettato il riempimento di un vuoto, la realizzazione di un bambino. Da questo intralcio che la regola dell'astinenza pone al bambino sorge in analisi, e si manifesta nei sogni o nel transfert o in qualche vissuto, un luogo con le precise caratteristiche che conosciamo: due vani contigui separati da una barriera molle, sorvegliata da qualche rappresentante della legge. Riferimento organico alla zona che separa l'ano dalla vagina, riferimento ad altre separazioni. Esempio: un'analizzante al posto del bamb�no presenta l'urgente, pressante istanza di diventare analista, istanza nella quale si verifica la situazione opposta a quella della fine dell'analisi, cioè l'identità non viene 49

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