Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

cere del «ritrovamento del già noto». Ma altrove, ne Il sogno, avvicina esplicitamente la rima alla «via più comoda per ravvicinare due pensieri onirici che non hanno nulla in comune» e per aprire così la strada - dato che, come leggiamo nel Supplemento alla teoria del sogno, della «Metapsicologia», nel sogno (a differenza che nella schizofrenia) «il processo primario non opera sulle parole, bensì sulla rappresentazioni di cose a cui le parole sono state ricondotte» - a quel germinar�si di metafore, ,che Jakobson ,considera tratto distintivo della sfera della struttura semiotica - cioè della poesia. Così, per vari passaggi e punti di contatto, dalle «parole oscene» di Ferenczi siamo indotti - sia pure a uno stadio certo qui preliminare di elaborazione - a toccare il terna del carattere oggettuale della parola infantile, della sua tendenza a non separarla ancora dalla cosa, ma a ricercare semmai in essa la cosa perduta (e l'iterazione del Fort-Da da parte del nipotino di Freud ne è un altro esempio); ad avvicinare perciò un certo uso della parola all'agire (e non certo nel senso della «pragmatica»). Se il poeta, a sua volta, tratta la parola come oggetto, la scompone nei suoi elementi minimali, la associa in base alla sua componente sonora, o persino grafica, si inerpica, chiodo dopo chiodo, sulla parete dell'asse paradigmatico, che è quello della «sostituzione in absentia », in assenza, - il poiein - che vuol dire insieme fare e poetare - acquisisce tutto il suo pregnante significato di un Logos che è in pari tempo Tat; si colloca, per dirlo più semplicemente, in un luogo specifico tra il «simbolizzare» e l'agire. Ma anche per altra via Ferenczi ci riporta al laboratorio poetico. Lo fa alludendo ai poeti solo attraverso 178

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