Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 43/44 luglio/dicembre 1984 Sergio Pinzi Virginia Pinzi Ghisi Sergio Pinzi Sara Marcsek-Klaniczay Livia Nemes ]orge Canestri Glauco Carloni Istvcin Hcirdi NOTES MAGICO Imre Hermann Mario Spinella Giuseppe Maffei Matilde Monteleone MINUTE 5 9 25 54 79 97 121 134 Lo spazio e la direzione Il fondamento psicotico della nevrosi L'eclissi della fobia in psicoanalisi Lo spazio e la psiche (sulla base dell'opera di Hermann) Hermann sulla perversione Trascrizioni e trasformazioni La divergenza nell'ortodossia: Sandor Ferenczi e fa sua scuola L'importanza di Sandor Ferenczi nella psichiatria contemporanea 147 Diario di lavoro 167 Uno scrittor , e legge Ferenczi 184 Sul solletico: variazione ungherese Anna Arato, 201 L'opera di Tihor Rajka Julia Gcidoros, Judith Székcics, Gcibor Szonyi Gcibor Szonyi 218 Fenomeni osses , sivi e struttura della famiglia Patrizia Calefato 234 Il lento pallore della negazione RUBRICA 262
Il picco.io Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Anna Arato, Patrizia Calefato, Cristina Calle, Jorge Canestri, Glauco Carloni, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Julia Gadoros, Giuliano Gramigna, Istvan Hardi, Imre Hermann, Ermanno Krumm, Giuseppe Maffei, Sara Marcsek-Klaniczay, Matilde Monteleone, Livia Nemes, Mario Spinella, Judith Székacs, Gabor Szonyi, Italo Viola. redazione: Galleria Strasburgo 3, Milano, tel. 790517-795557 abbonamento annuo 1984: (4 fascicoli) lire 25.000, estero lire 30.000 e.e. postale 11639705 intestato a edizioni Dedalo spa, cas. post. 362, 70100 Bari Registrazione: n. 472 del 7.5.74 del Tribunale di Bari Fotocomposizione e stampa: Dedalo litostampa spa, Bari
Il piccolo Hans Revue trimesrtrelle d'analyse matérialiste Directeur: Sergio Finzi Rédaction: C. Calligaris, S. Finzi, V. Finzi Ghisi, G. Gramigna, E. Krumm, M. Spinella, I. Vfola Abonement 1 an (1984): 4 numéros: lire 30.000 Editloni Dedalo spa, casella postale 362, 70100 Bari
Lo spazio e la direzione Del lavoro che sarà di quest'anno e che si svolgerà in parte, ricordate la filigrana apparsa in Inibizione, sintomo e angoscia nell'editoriale del numero scorso, anche sotto il nome di Darwin, cui il Piccolo Hans dedicherà uno dei prossimi numeri, vi anticipo qui brevemente una piccola storia. I quattro anni di Darwin. Darwin seduto sulle ginocchia della sorella che ha in mano un coltello. Passa veloce una mucca davanti alla finestra. Darwin sobbalza, il coltello lo taglia. « Di questa scena ricordo come sedevo, e la causa dello spavento, ma non il taglio>>. Darwin seduto, la finestra, l'età. La posizione, la finestra, l'età richiamano il luogo della fobia. Ma qualcosa si aggiunge all'elemento dell'animale, il fatto che ci sia una finestra, un quadro, che l'animale si muova veloce e che, particolare che Darwin racconta di ricordare a prescindere da ciò che può essere stato detto intorno a questo episodio, rimanga vivido alla mente da quale parte corra. Vedremo tra poche pagine, nell'individuazione clinica di fobia e perversione, quale posto può avere il movimento di un animale o la ninfa in un quadro. 5
Quello che voglio anticipare qui riguarda, pzu ampiamente, il rapporto che, per la psicoanalisi, lungo i seminari di questi anni, in quella specie di promenade che è il Mistero di Mister Meister sono arrivato a delineare. E che oggi, in aggiunta alla scoperta della funzione dei residui in psicoanalisi, del!'elemento protesi, del luogo della fobia, della collocazione nella clinica della perversione, posso sintetizzare in un punto ulteriore: i\ rapporto che esista tra la geometria (l'apparato psi!Chico) e il naturnlismo, tra giochi di forze (terremoti, tensioni, -direzioni) e giochi di superficie (la ragione periferica del seminario scorso), quando Darwin, apparentemente disorganizzando la visione di Copernico, « quando per la prima volta fu detto che il sole è fermo e la terra gli gira intorno », contribuisce in realtà a definire una nuova scienza dell'ordine, ma fondata su un criterio di pura mobilità, una teoria dei confini che sta per rappresentare per la psicoanalisi la nuova frontiera di una scienza che arriva a fare i conti con l'istinto di morte. È questo allora il punto di raccordo tra il convegno precedente su la Natura e la Grazia, tra il seminario dedicato a Goethe, alle geometrie, alle affi.nità elettive e il lavoro che ci aspetta quest'anno, sull'angoscia e, come dicevo, su Darwin. A fare da snodo il convegno di maggio che ritroviamo qui sul Piccolo Hans, dedicato, appunto, alla Psiche e lo spazio. Dopo il numero 28 dell'ottobre/dicembre 1980 scoperta della scuola ungherese, abbiamo invitato al nostro convegno su La psiche e lo spazio gli psicoanalisti Sara Marcsek-Klaniczay, Livia Nemes e lo psichiatra e medico lstvdn Hdrdi, Glauco Carloni studioso di Ferenczi, presidente della Società Psicoanalitica Italiana, ]orge Canestri. 6
Di Imre Hermann, morto qualche giorno prima del nostro convegno, di cui abbiamo pubblicato Del mondo dei suoni e di cui uscirà nella Collana Bianca Psicoanalisi e logica offriamo tre brevi gruppi di appunti a formare una sorta del consueto Diario di lavoro del Piccolo Hans. Sergio Finzi 7
LA PRATICA ·FREUDIANA Corso Plebisciti 6, Miiano, tel. 794515 Insegnamento di teoria e clinica psicoanalitica anno 1984-85 inizio giovedì 15 novembre 1984, ore 18,00 Sergio Finzi terrà un corso di ·lezioni ogni quindici giorni, • il giovedì, da novembre a marzo, sul tema: Le origini dell'angoscia (viaggio di uno psicoanalista intorno a Darwin) * * * Un gruppo di studio verrà cosi1Jituito Per un ambulatorio psicoanalitico dei bambini
Il fondamento psicotico della nevrosi Si è parlato di un futuro della psicoanalisi come in qualche modo legato alla possibilità di avvicinarsi alla cura delle psicosi. Se ne è parlato molto fino a qualche tempo fa, fino a quando, a furia di parlare del futuro, quanti si accostavano al problema incominciavano a rendersi conto che quel futuro non diventava presente. Se ne sono resi conto quanti psicoanalisti non sono riusciti ad andare più in là di quella generica prospettiva. Se ne sono resi conto soprattutto quanti psichiatri dopo aver provato in tutta quella buona fede che l'ignoranza può garantire, non hanno visto diminuire il numero dei fallimenti, o dei suicidi, nonostante, diciamo così, l'applicazione di metodi psicoanalitici. Non solo. Ma una figura è stata inventata a scusare quei fallimenti della psicoanalisi che avvenivano nell'ambito della nevrosi, prendendo a testimone la psicosi. « È un borderline », cioè: non si sa che cosa fare. Un borderline. In tanta psicoanalisi che si gioca tra gli affetti, la comprensione, l'estemporaneità, la sottovalutazione della diagnosi, la descrittività, ecco una figura che può apparire in contrasto con tutto questo. Una figura che non solo sembra lanciare quel ponte tanto auspicato quanto inattuato tra nevrosi e psicosi ma che addirittura assume una connotazione topolo9
gica. Io so, diciamo, dove si trova questa persona. Si trova sul confine tra nevrosi e psicosi. Questo tipo di collocazione ha tuttavia poco a che vedere con la topologia così come ce ne siamo andati occupando insieme nei seminari degli ultimi anni. Il luogo che vi ho definito, e che ho chiamato « luogo della fobia» non è affatto per esempio un luogo dì classificazione, non è certo il luogo cui destinare idealmente tutti quei pazienti che hanno riluttanza a realizzare i progetti dell'analista, né tanto meno è la casa la cui soglia l'agorafobico non oltrepassa. Il senso che abbiamo dato a questo termine « luogo della fobia» è topologico riguardo all'invenimento, nella storia psichica di una persona, di un luogo che è insieme una zona di determinazione e di scelte di una nevrosi, o di una perversione, con tutte quelle caratteristiche di uno spazio reale che però è lo stesso apparato psichico a proiettare nella realtà. Ricordiamo per esempio la funzione di una certa « contiguità» a uno studio professionale nel caso che abbiamo chiamato « di Telma», o la genesi della perversione di cui parla Finzi nel « mistero di Mister Meister». Allora ci accorgiamo che l'invenzione del bordeline non è un'invenzione, non ci porta cioè a invenire, a trovare alcunché. Non è interna alla costituzione del soggetto né costituisce con il mondo che lo circonda quella specie di chiasmo che abbiamo visto caratteristico della topologia psichica. Se vogliamo occuparci di un ponte tra nevrosi e psicosi, Freud per esempio ce ne ha indicato uno. Il sogno. Quando ha parlato di una funzione del sogno in qualche modo analoga a quella del delirio. Già da questo potremmo trarre delle conclusioni riguardo al delirio. Che lungi dall'essere un momento di malattia è un momento di sanità, se il sogno lo è, e dovremmo allora 10
essere impediti - di avvicinarci al delirio non solo con gli psicofarmaci, come al sogno con i sonniferi che lo impediscono, ma anche con la ragionevolezza, proprio come al sogno. E chiederci se i fallimenti di quanti psichiatri hanno tentato la psicoanalisi non abbiano attinenza all'applicazione di una forma di «ragionevolezza» che non funziona meglio riguardo al delirio di quanto l'elaborazione secondaria non faccia con il sogno. In entrambi i casi un inganno viene perpetrato molto più grave di quanto non si creda. La salute impedisce la sanità e non viene compresa, individuata ed elaborata la funzione terapeutica di qualcosa che in entrambi i casi ci turba e ci spaventa. Proviamo allora a chiederci che cosa succede non del futuro ma del presente della psicoanalisi se invece di voler assimilare le psicosi alle nevrosi con la buona volontà anche qui di renderle più ragionevoli e meno socialmente scandalose, ci arrischiamo a fare l'inverso, ad accettare cioè uno scandalo delle nevrosi. Quello cui mi riferisco questa sera è un caso che può essere «classico». Per la rapidità della soluzione che lo fa collocare nell'ambito dell'isteria, o come esempio di una storia della clinica in un'angolatura lacaniana, vista la preponderanza che vi assume quello che Lacan ha chiamato «significante». Vediamo che cosa altro possiamo trarne. Una donna, sposata da più di dieci anni, madre di due piccole gemelle, che viene dalla campagna emiliana, da qualche anno è afflitta da gravi eruzioni sul ventre e sulle gambe che compaiono ogni volta che il marito vuol fare l'amore alla luce del giorno o con la luce accesa. E queste eruzioni sono così gravi da richiedere il ricovero in ospedale. In analisi, la donna mi racconta e lo racconta per la prima volta in vita sua proprio all'analista, sottolineando di non averne mai parlato nemmeno in confessione, la donna è religiosissima, un 11
episodio · a scuola: un bidello che le aveva sollevato il vestito. Da quel momento, il momento del racconto, i. sogni che mi porta in analisi sono abbastanza espliciti e io scelgo di seguire una direzione di cura molto «semplice», se così si può dire, interpreto cioè con lei i sogni mano a mano che si presentano. Ma qualcosa già giustifica e consente in questa analisi un metodo da cui Freud mette in guardia. Questa interpretazione sogno dopo sogno, sogno per sogno, è in realtà sostenuta in questo caso da qualche cosa che dà a me la conoscenza dell'ossatura, io «so» che un filo, una catena, una catena significante, regge il susseguirsi delle interpretazioni. E non ho paura dell'apparente banalizzarsi della verità. Finché è un sogno stesso che viene a giustificarmi. Questa volta la donna sogna in una vetrina un abito da sposa e uno slip bianchi. E io vi darò ora i due elementi di cui ero a conoscenza. Uno riguardava il significante primo, S1, il nome addirittura. Questa donna, parafrasando con qualche sostituzione, con il matrimonio era venuta a chiamarsi pressapoco così: Maria Rossi in Mostra. In Mostra. Ecco la vetrina del sogno. Ora finalmente, la serie dei sogni erotici interpretati insieme consente che qualcosa venga in Mostra senza che il senso di colpa riceva la consueta soddisfazione. Il segreto rivelato per la prima volta all'analista può ora affacciarsi liberamente e il significante viene ritrovato. Ritrovato senza che, ovviamente, l'analizzante ne sappia niente. L'analizzante, ben poco letterata, ha un'assoluta ignoranza di psicoanalisi, è venuta mandata dal medìco, ma tutto questo non ha influito affatto negativamente sulla sua analisi. Il gioco di reale, immaginario e simbolico l'ha avuta vinta, l'analizzante si espone ora senza conseguenze agli sguardi del marito. 12
Ma ecco la seconda domanda. Del caso abbiamo visto la soluzione. Ma che cosa era successo a questa donna, e perché il disturbo che l'aveva portata da me l'aveva colpita non dall'inizio del matrimonio, ma solo a un certo punto della sua vita coniugale? Il « certo punto » ha una sua funzione. E questo rappresentava il secondo elemento di cui ero a conoscenza. Sin dalle prime sedute di analisi, la donna infatti mi aveva raccontato di uno scherzo che le era stato fatto il giorno delle nozze. Sulla torta, una bambolina vestita di bianco scopriva, alzandole le vesti, due gemelle. Le due gemelle che erano poi effettivamente nate alla mia analizzante. Ecco allora rintracciato l'elemento scatenante. Qualcosa era davvero apparso in Mostra. Qualcosa apparso sollevando le vesti si era di fatto concretizzato nel reale, le gemelle c'erano davvero state, tutti avevano potuto constatarlo, ora l'eruzione, il rossore cutaneo poteva avere inizio. A intrecciarsi con questa vicenda di rapporti coniugali sempre più difficili e problematici è la passione del marito per la caccia, passione che diventa, insieme con la serie di sogni di cui dicevo prima, motivo dominante in analisi. L'analizzante odia la caccia e detesta gli animali morti che le vengono portati. D'altro lato, ama ricordare gli episodi della sua infanzia in cascina, e specialmente il suo amore per le galline cui accudiva e cui portava regolarmente il cibo. Amore peraltro che non le aveva impedito di diventare un'ottima cuoca. La gallina in brodo, la gallina spennata e ripulita a regola d'arte, porta il segno, fino a un certo punto della vita dell'analizzante, della sua identificazione con l'animale. L'animale è amato e nutrito e in seguito cucinato a dovere e punito. L'oltrepassare la fobia con la rimozione funziona fino a quando un'improvvisa ulteriore identificazione le vie13
ne imposta. Il vestito tirato su, ed ecco le due gemelle, la sua immagine raddoppiata e la sua colpa svelata. Ma è da quando questo assume uria verità nella realtà,· e le gemelle le nascono davvero, che l'animale ucciso non solo una volta l'anno, come l'animale totemico, ma tutte le domeniche, giorno peraltro del sacrilegio, della comunione fatta nonostante la confessione incompleta, diventa una minaccia alla sua stessa vita. È su questo filo che quella che appare chiaramente come la più classica delle nevrosi, e la più « innocua », l'isteria, manifesta un'origine lontana nella psicosi. Quando cioè qualcosa dell'identificazione si fa divorante. Ciò che si raggiunge con la soluzione di questo caso va allora ben oltre il ritrovamento di un significante. Il significante è un sintomo che è già lì, nascosto solo perché in vista di tutti, non a caso chi l'ha portato a definizione è lo stesso autore dello studio sulla « lettera rubata » di Poe. Il ritrovarlo sigla la conclusione di una storia. Ma il lungo corso di un'analisi non è il brillante saltabeccare tra una scoperta e un'altra di sempre nuovi fosforescenti significanti. Riprendiamo un attimo il caso dell'uomo dei lupi su cui ci siamo soffermati qualche anno fa. Il significante Spagna per esempio accompagna tutta la vita dell'uomo dei lupi. Ma la ripetizione ha piuttosto la tenacia e la fissità di una costruzione perversa anche se fa da pilastro alla nevrosi. Quello che è da scoprire è il piccolo nucleo di verità che veicola. Cioè, alla fine, quel tanto di dirompente, di delirante, di psicotico, che la accuratezza di cui si compone nasconde e occlude. Allora quando da nevrotico ossessivo, l'uomo dei lupi si fa paranoico, qualcosa della sanità affiora nella sua preoccupazione intorno a qualcosa che, notate, deturpa la fisionomia, la altera, le apre un crepaccio: il buco sul naso. L'uomo dei lupi si guarda allo specchio. 14
È allora che, badate bene, se potete andate a rivedervi quel seminario sull'uomo dei lupi, incomincia a funzionare davvero il significante Spagna. A rivelarci la pecora nascosta e il suo rapporto, oltre che al padre, alla sorella morta. L'apparire del tema della sorella è un segnale psicotico. È anzi più che un segnale, è di per sé, a parte l'uso che ne viene fatto, un piccolo nucleo di delirio. Come le due gemelle di prima, sorelle e fratelli sono la prima riproduzione altrove di questo seme, di questo sperma che l'eiaculazione veicola e che il delirio dello psicotico tanto spesso rappresenta. Ma quello su cui mi preme oggi soffermarmi è ciò su cui si chiude lo studio di Freud del 1923 su Nevrosi e Psicosi. Quando Freud scrive: « Stando così le cose, le incoerenze, le stravaganze e le follie degli uomini potrebbero esser viste in una luce analoga alle loro perversioni, accettando le quali gli uomini riescono a evitare le rimozioni». Qualcosa che dà un perché anche all'affermazione rimasta sibillina di Lacan quando osserva che la fine dell'analisi ha in qualche modo delle caratteristiche psicotiche. Il luogo della fobia, che abbiamo l'anno scorso individuato come luogo di smistamento, di scelta tra nevrosi e perversione, ci appare oggi abbondantemente implicato con la psicosi. La nascita della sorella del piccolo Hans è uno sviluppo al dibattito che Hans si poneva su animato e inanimato che avrebbe potuto avere soluzioni diverse e drammatiche. L'identificazione di Arpad, il bambino di cui parla Ferenczi in un famoso scritto citato da Freud, ai polli, ci dice molto a partire dalla funzione dell'unicità del gallo in rapporto alla pluralità delle galline. Ma come si situa rispetto al « luogo della fobia » la psicosi? Forse la psicosi non è una terza scelta rispetto 2, nevrosi e perversione. La psicosi è il decorso di una 15
verità nella quale il luogo della fobia non ha trovato il suo spazio. Il luogo della fobia è la risposta all'angoscia. È il luogo dove, l'abbiamo visto quando esaminammo il caso del piccolo Hans, la ragionevolezza prende il posto della verità. La perversione, che si fonda su un presupposto illogico, che una cosa possa essere in due modi opposti, esserci e non esserci, il pene della donna, il fallo, e questo lo si sa e non lo si sa nello stesso momento, la perversione può perseguire tuttavia modalità di grande ragionevolezza... finché tiene, finché non esplode drammaticamente. La nevrosi, ebbene il compromesso su cui si fonda il sintomo è in qualche modo ragionevole, viene a patti, finché ci riesce. Ritrovare il luogo della fobia in un'analisi è invece un avvicinarsi pericoloso, o almeno sentito come tale, alla psicosi. Perché in un certo senso il luogo della fobia è la prima rappresentazione, concretizzazione, realizzazione esterna non di un contenuto psichico ma dello stesso apparato psichico. È questo che Hans riproduce nei due disegni che Freud riporta della pianta del Dazio. Quando questa rappresentazione non avviene in quel momento preciso della vita di un bambino, ciò che succede « dopo » non è sulla linea della ripetizione né della costruzione ma della proliferazione cui la nevrosi avrebbe dato un ordine, precario, ma sempre un ordine, che tuttavia allontana dalla verità, è funzionale alla rimozione riuscita la prima volta e della quale la « collocazione all'esterno» dell'apparato psichico nel « luogo della fobia» è garante. È così che si risolve quel punto drammatico che Ferenczi indica per il bambino e che è la scissione tra il dire e il fare. La psicosi non è una dissociazione o un distacco dalla realtà, ma il mancato distacco della realtà. La psicosi è nella sua verità all'op16
posto di quello che potrebbe apparirci come « psicotico». Per concludere, vorrei dire che se non è la psicosi da riavvicinare alla nevrosi, ma piuttosto si tratta forse di scoprire il fondamento psicotico della nevrosi, e quindi non si tratta di avvicinarsi alla psicosi dal punto di vista della nevrosi ma il contrario, è interessante osservare la funzione della stessa teoria psicanalitica riguardo la psicosi. Ilo conosciuto un ragazzo che viveva passando la frontiera tra l'Italia e la Svizzera. E spingendosi a nord fino alla Germania e a sud fino in Calabria dove viveva la sua famiglia. « Famiglia di pazzi» diceva, e mi diceva che lui lo sapeva perché leggeva sempre di psicoanalisi e anche in Germania ci andava per parlare a suo dire con studiosi di psicoanalisi, e poi mi raccontava del padre alcolizzato e delle follie della sorella. Ma diceva anche: « La psicoanalisi è la mia salvezza». Sosta in questo tragitto era Milano. Qui aveva trovato un punto di riferimento nel mio studio dove, la prima volta, mi aveva -sottoposto a una prova. Mi aveva raccontato di una specie di trama internazionale, ma geniale, creativa, e mi chiedeva se volevo iscrivermi. Io rimasi in silenzio. E dopo qualche minuto lui mi disse: « Sapevo che non ci sarebbe cascata. Per questo sono venuto da lei». In che cosa non ero cascata? Nel non dare una risposta che sottintendesse che non era vero, perché era vero, lui era psicotico e quello era il suo delirio. Nel non dare una risposta che sottintendesse che era vero, cioè che quello era il suo delirio, perché lui lo sapeva benissimo e in quel momento stava mettendomi alla prova. Nel non dirgli che lui sapeva, perché in realtà non sapeva ed era per questo che era lì. Nel non dirgli che lui non sapeva, perché in quel momento stava appunto facendo qualcosa riguardo al sapere. Ma in quel minuto di silenzio, la psicoanalisi stessa di cui lui si interessava 17
veniva a sostenere la funzione mancata del luogo della fobia, in cui il confine Italia-Svizzera fungeva da barriera del Dazio, Reggio era la sua stanza, la Germania il luogo del sapere. Il mio studio, dove arrivava sempre con un pezzo di pane, pane e circenses, pane e giochi, con cui saziare il volgo che io ero, e con cui anche fare briciole, si realizzava come l'occasione, di fronte a qualcuno che lui sapeva che scriveva di psicoanalisi, per depositare da qualche parte la prima mancata rappresentazione dell'apparato psichico. E, ancora, questo perché « non ero cascata», non ero una delle sue briciole, non ero un bambino, non ero suo figlio, una sua produzione, e nemmeno sua sorella, una sua riproduzione. Veniva lì riprodotta un'estraneità necessaria che nella sua storia era mancata, e che è l'estraneità messa in gioco per la prima volta nel luogo della fobia, nel quale non è l'altro a inscriversi, il padre cavallo, ma un tipo di rappresentazione, l'apparato psichico nel dazio, che ha tutte le caratteristiche della psicosi. La fobia distacca la nevrosi dal suo fondamento psicotico. Ma anche dal nucleo di verità di cui solo una traccia verrà portata avanti dalla ripetizione. La fobia, l'abbiamo visto con il seminario di Finzi dell'anno scorso, è quel presupposto scavalcato che resta però un punto di riferimento della perversione nel suo rapporto alla natura, ma che proprio nell'identificazione può sganciarsi dal perverso che diventa in quel momento preda della psicosi. Se in quel seminario, il significante Pinocchio era apparso nei sogni di un analizzante perverso ad aprire il collegamento con le marionette e con il gioco delle qualità e delle quantità, un'altra favola scritta da un altro Collodi, Sussi e Biribissi, può diventare un'occasione di riflettere su specularità, identificazione e fobia 18
· È la storia di Sussi, grassoccio e rotondo, e di Biribissi, nero secco e sudicio, « uno di quegli amici come di uguali se ne trova di rado... Due tipi così differenti», si vedevano sempre insieme. Biribissi leggeva e Sussi stava a sentire. Questa diversità e questa complementarità si arruffano e si complicano il giorno che durante un avventuroso viaggio attraverso una fogna, nella cantina di un convento di frati, Biribissi diventa, a furia di mangiare, « più grosso di un pallone gonfiato... e così sudicio da non saper distinguere a che razza potesse vantarsi di appartenere». Nel frattempo Sussi è costretto da circostanze diverse a diventare « secco e allampanato». Così, quando si incontrano, pur specchiandosi l'uno nell'altro, non si riconoscono più. Portati al nosocomio, visto che sono scambiati per pazzi, e curati con potenti getti d'acqua, prendono entrambi un bruttissimo raffreddore e vengono messi in « due lettini gemelli». Non muoiono però. Chi si ammala di polmonite invece e muore è il loro gatto che li convoca al suo letto e li ammonisce con parole sagge. Ecco la funzione della fobia. La struttura di questa storia la ritroviamo in un sogno che apparteneva appunto all'analisi di Telma, del caso cioè di cui mi sono servita altre volte per illustrare il « luogo della fobia». Ecco il sogno: Parte prima: Vado con l'architetto-cugino nella camera adiacente lo studio dello zio (ricordate lo zio « giusto» ràppresentante della legge e del fisco). Poiché il letto è occupato dall'imbianchino, passo nello studio, si apre straordinariamente la porta di comunicazione, escono coppie da un ballo, io passo al di là, con un abito lungo di tweed da sera, ma è come se una parte di me, se io avessi anche un abito da ballo lungo e bianco. 19
Seconda parte: Sono su una strada, mi accoccolo, senza mutande, fingo di non saperlo, una fila di ragazze e ragazzi si siede su un muricciolo a guardarmi. Mi sposto e una ragazza si sposta a sua volta, si avvicina, mi si mette di fronte e fa per toccarmi. Alt, dico e dopo aver protestato in realtà mi faccio pagare, lei fa per darmi mille o duemila, cinquemila, cinquantamila lire, ma mentre io le prendo, mi accorgo che dietro di me si muove un'altra ragazza che allunga la mano sotto il banchetto dove tengo i soldi e me ne porta via, più di quanti io ne riceva. Io la picchio a morte rovesciata per terra. Poi mi trovo all'interno di un giardino, è come se io mettessi la bomba che scoppia e poi esco portando l'involucro della bomba simile a una lanterna, per mano. Una macchina si ferma con un soldato, temo che mi abbiano scoperto ma mi chiede solo l'indicazione per arrivare al mare. Anch'io vado verso là e lungo la strada compaiono sempre più soldati in assetto da guerra e poi una lunga fila di gente. Mentre incrocio gli ultimi, gli ultimi due della fila si staccano dagli altri e una donna allunga un braccio e conta le persone della fila e conta anche me e dice « sono settanta, ci sono tutti». Fine del sogno. Vediamo subito che è saltato il 69. Ne mancavano due, i due che si erano staccati (cioè erano 68), più Telma, che non faceva parte della fila, ma andava « in senso contrario», nel sogno fa settanta. Questo sogno ci dice che 69 non è solo una posizione erotica, in cui la parte genitale viene alla vista del partner. 69 è qui implicato con il sorgere dell'immagine nello specchio e l'immagine porta non più l'abito lungo di tweed, ma un abito lungo bianco. L'abito all'inglese che l'analizzante associa con immagini di caccia ci collega insieme all'abito bianco, abito 20
da sposa, ai due punti, caccia e abito bianco, in gioco nell'analisi della madre delle due gemelle. Nello stesso tempo, « l'altra ragazza», dietro a Telma che sottrae i soldi mentre Telma se li fa dare ci rappresenta il doppio movimento della pulsione, accumulo e dispendio. Ma tutto questo è inquadrato nel famoso studio. E la prima figura che compare nel sogno è quella duplice dell'architetto e del cugino a dirci come i giochi sessuali infantili non prevaricano sull'importanza che per la psiche assume un'architettura. A far superare per la prima volta la parete divisoria tra la camera di Telma e lo studio dello zio, è l'apparizione nel letto di Telma di un imbianchino. L'abito bianco lungo è legato a un sistema doppio di pareti, paratia fisiologica, ma anche architetturale. Nel contempo un sogno di Telma è attraversato per la prima volta da un'esplosione. Telma ha forse messo una bomba. E dalla possibilità che sia lei la sola colpevole, si passa a una guerra di fatto, a uno stato di guerra. Una topologia del desiderio tende a realizzarsi quando si riesce a rappresentare una topologia psichica. Anche in questo caso la fobia, che appare come pianta, topologia, e come evocazione dell'animale nell'abito da caccia, appare in una vicinanza alla psicosi. Ma in un tempo rovesciato dal sogno, prima la fobia e poi la deflagrazione della bomba. In realtà questa pianta della fobia, così come appare in questo sogno di Telma, è anomala. Non è lo steccato . chiuso del recinto del dazio che Hans immagina solo di oltrepassare; la porta chiusa, la parete divisoria, qui si apre, il luogo dell'Altro si fa accessibile, passano le coppie, le coppie in abito da ballo, e aprono la strada a Telma. 21
Ecco il chiasmo, segnalato dal numero mancante, il 69. La coppia 6 e 9, alla fine del sogno esplicita il rovesciamento e il numero riconduce il sogno al proprio inizio. L'analizzante ravvisa nell'abito di tweed, lungo, coprente, lo stilema della caccia. Ora, specchiandosi accoccolata nell'altra figura femminile pure accoccolata sulla strada, l'analizzante torna a chiedersi, come Biribissi, se si riesce a « distinguere di che razza è». Dietro alle sue spalle un'altra figura femminile, la ragazza che le sottrae i soldi, si specchia con lei. Qualcosa ci dice che il bambino a specchiarsi non è solo. Se una coppia si è staccata dalla fila, 68 più l'analizzante, fa settanta. Nello specchio c'è una figura in più. Primo schema: Sussi, Biribissi e il gatto. E il nosocomio non comporta la pazzia. Ad ammalarsi e a morire è il gatto. Funzione am.tipsicotica della fobia. Non per niente il gatto convoca Sussi e Biribissi per dire loro « parole sagge». Ricordiamo la saggezza di Hans a proposito della teoria di animato e inanimato. Ma il sogno presenta un altro schema possibile: Telma accoccolata, la ragazza di fronte in cui si specchia, la ragazza dietro. E scoppia la bomba. La madre che si riflette alle spalle, il fantasma del padre che entra a scoprire l'uomo dei topi che si guarda nudo allo specchio. Ricordiamo il momento in cui l'identificazione porta a una deflagrazione psichica nel fatto di cronaca dell'uomo che ha divorato i genitali di un bambino su un prato della periferia di Milano. Anche lì c'era il perverso, alle spalle la figura del proprio padre divoratore, davanti lui stesso bambino. La fobia attutisce la funzione dirompente del terzo termine nell'identificazione. Ma se consideriamo nella scena del sogno, la ragazza davanti che dà, quella dietro che sottrae, un'altra cop22
pia ci viene alla mente. Quella di cui Finzi aveva sottolineato l'importanza in un caso di perversione: la madre e la matrigna. Binomio ritrovato nel Leonardo di Freud. Quando insorge la fobia di Hans? Quando la teoria dell'animato e dell'inanimato lo porta troppo oltre? O quando nasce la sorella a far da pietra di paragone? O piuttosto quando nasce . la sorella a far due con la madre? Ecco una nuova valenza delle due gemelline nel caso del segreto « mostrato » di un abito da sposa. Le donne con cui ha a che fare un bambino sono sempre due. La madre e la sorella, o, in mancanza, anche se le sorelle come dicevamo nel seminario sulla relazione madre-figlio, ci sono sempre anche quando non ci sono, la madre e la matrigna, anche questa vera o ipotizzata che sia, o la madre e la sorella della madre: rivelazione del fatto che per lui l'accesso alla sessualità si divide, e che è sempre mentre per una donna si sospende il godimento, che per l'altra può incominciare. In questa disgiunzione la sessualità dell'uomo diviene una costruzione formata da blocchi di diverse donne, o meglio, se ricordiamo il caso di M., il fobico che si fa perverso in coppia con la madre fobica, una costruzione formata dai blocchi psichici di diverse donne. Allora un nuovo rovesciamento si fa strada. A spiegare lo strano rapporto che la vita ha con la psicoanalisi, di cui è un indizio lo stesso riflettersi dell'apparato psichico nello spazio esterno: la formazione dell'essere uomo non passa attraverso la genitalità ma attraverso le figure della clinica. Una formazione nella quale all'origine il bambino non c'è, e ne riparleremo magari domani, se non come suo bambino, come prodotto della propria fantasia. Il « bambino che pensa » forgia l'immagine del bambino che può anche, come le gemelline, concretizzarsi nella realtà. E se il bambino ipotizzato nasce davvero, tale 23
nascita è un fatto che ha parentele con la psicosi. Il « bambino che pensa», Hans all'origine della sua fobia, è sostituito da qualcosa che è nato da lui ma ne è indipendente, e questo ci può spiegare forse la presenza del disegno nella fobia, che è sì il disegno di una pianta topografica, ma che è anche un prodotto con una sua peculiarità. Perché il disegno è l'enigma di una mano che pensa e fa al mio posto. È'. un'espressione psicotica che viene dimenticata con la nevrosi o utilizzata con la perversione. Mentre, viceversa, il fondamento della psicosi non è psicotico. La psicosi elabora il fatto che la mano che pensa al proprio posto è una mano a sé stante, manca lo spazio della fobia a rappresentare questa situazione nella teoria, e la mano viene in effetti tagliata. Dal canto suo, passata oltre la fobia, la nevrosi s'in� terrogherà per tutta la vita sul proprio rapporto con la psicosi. Con la tristezza con cui l'ossessivo s'ingegna di ripeterla in « le cose sono due», ma soprattutto con quell'innervazione dolente che segnala nell'isteria il piccolo grado di invasione della protesi. Quante volte l'isterico non dice: mi chiedo se non penso queste cose perché sono pazzo. Non è una frase da irridere. Non penso, passaggio della fobia, segnale della nevrosi; se sono pazzo, nostalgia di ciò che è stato all'origine, di un rapporto primario che ci appare ora sempre più come il rapporto che l'uomo ha con la sua storia clinica. Esempio di quanto il discorso dell'isterico ha ancora da insegnarci. Virginia Pinzi Ghisi 24
L'eclissi della fobia in psicoanalisi Ces nymphes, je les veux perpetuer. S. Mallarmé Nella mia pratica di supervisore di diverse persone, psichiatri, psicologi che lavorano, come si dice, in istituzione, mi colpisce un fatto. Sento parlare spesso di fobici o di ossessivi e mai di isterici. Anzi sta diventando un luogo comune l'opinione che l'isteria dai tempi di Freud sia andata scomparendo. Altra caratteristica: sento parlare di ossessivi e ossessive, nei due sessi, ma solo di fobiche, al femminile. Poiché non mi risulta affatto questo deperimento dell'isteria, anzi mi sembra più diffusa che mai per esempio l'isteria maschile, mi sono chiesto se l'operatore in istituzione non veda altro che fobici e ossessivi per il semplice fatto di non scorgere in essi che le caratteristiche dell'ambiente in cui egli si trova a operare. Come accadeva, e continua ad accadere, quando operazioni chirurgiche o esperimenti di laboratorio, non vengono compiuti in ambienti sterilizzati. Qual è il germe che appartiene all'istituzione e che contamina il paziente trasformandolo in un fobico? D'altro canto possiamo riproporci il problema sotto una diversa angolatura. Come mai tanti psicoanalisti sono ben disposti a curare i fobici ma non a riconoscere la 25
fobia come un discorso strutturante alla stregua dell'isteria o della nevrosi ossessiva? In un caso e nell'altro, in un modo simile a quello di cui si parlava ieri a proposito della definizione di borderline, fobico funziona come una scorciatoia. La diagnosi di «fobica» offre un doppio tornaconto. Offre al medico un sintomo che è l'unico che può coincidere con una diagnosi. Inoltre, lo «scienziato» che un tempo, forte del suo prestigio ottocentesco, poteva allontanare sdegnosamente colei di cui dire: è un'isterica, oggi che lui stesso ne occupa, diciamo così, la «posizione» a cui l'ha condotto la ricerca di una identità e il gusto dell'intrigo e del pettegolezzo in qualche modo legato alla riforma sanitaria, oggi che occupa lui la posizione dell'isterica, di fronte a quella che è divenuta la sua domanda, la risposta dell'altro non può che essere insufficiente e quindi fobica. D'altra parte per lo psicoanalista, fobico è in generale l'agorafobico a proposito del quale ci si compiace che giunga comunque regolarmente in analisi. Questo riuscire a raggiungere il luogo dove egli si trova compensa l'analista di quella mancanza di valenza amorosa che è caratteristica del transfert del fobico. «Mostra di non amarmi, ma non è vero se arriva fin qui». In questo modo in realtà è lo psicoanalista che si muove non il fobico. Lo psicoanalista gli va incontro. Ed è questo che in prima istanza il fobico si attende dall'analisi. Molti anni fa ebbi in cura un giovane che mi aveva avvicinato a una conferenza per regalarmi un disegno: venne successivamente a chiedermi un'analisi, una analisi che stava al posto di quel disegno che poi alla fine non mi aveva consegnato. Questa analisi non faceva altro che ridisegnare interminabilmente la pianta di una casa dove egli aveva vissuto bambino. Il rapporto ana26
litico molto difficile e molto precario si resse solo fino a quando fui disposto ad andare incontro alle sue richieste di agevolazioni economiche. Ricordo anche il caso del fobico di cui Virginia Finzi Ghisi aveva parlato in un seminario di due anni fa che arrivò a formulare esplicitamente l'istanza che la sua psicoanalista avesse uno studio più vicino alla casa dove lui abitava. Mettiamoci invece in un'altra prospettiva e chiediamoci: chi è il fobico? Per rispondere a questa domanda dobbiamo scavalcare tutta la letteratura psicoanalitica fino a Freud. La letteratura psicoanalitica del dopo Freud ci ha parlato di « fobie » e bisogna risalire proprio fino a Freud per sentir riparlare di fobia. Il fobico non è una persona che non riesca a muoversi dalla sua casa nell'attualità, ma è qualcuno che molti, molti anni prima non è riuscito a muoversi da quella risposta all'angoscia che Freud ha chiamato fobia per sviluppare una nevrosi. Lasciamo per un momento in sospeso questa definizione e vediamo come nasce e che cosa comporta per la psicoanalisi questo silenzio o questo fraintendimento sulla fobia. Come l'analisi permette al fobico di spostarsi, coprendo in un certo senso la sua impossibilità a mU<;> versi, così favorisce durante la sua durata una certa eclissi della fobia dietro le diverse strutture nevrotiche. Si pensi che per molti arrivare in analisi comporta delle levatacce, dei viaggi in treni affollati, addirittura in cuccetta, dormire dove capita, aspettare delle ore in strada (all'addiaccio come diceva un mio paziente) per poi finire a sdraiarsi in un posto così contaminato da tanti corpi, da tanti piedi, da tante teste come è il divano dello psicoanalista. Nessuno che tema di prendere i pidocchi, nessuna donna che pensi di restare incinta come quando si siede in autobus. 27
Ecco tutto questo ha contribuito a convogliare l'attenzione degli psicoanalisti lontano dalla fobia come luogo da raggiungere in analisi. Le conseguenze si ritrovano nella tecnica e nella teoria. Quando qualcosa dell'ordine della fobia lo chiama in causa, lo psicoanalista tende a muoversi. E si muove in direzione del fobico, invece che della fobia. Una tecnica attiva. Da un lato può essere sollecitato da quella tentazione che ha coinvolto anche Ferenczi, e di cui Freud era spettatore incuriosito, che è quella di una terapia attiva. Si tratta con questa di impartire dei compiti al fobico, di ingiungergli di superare certi ostacoli o di raggiungere certi luoghi. In questo caso un fobico viene spinto ad alzarsi dal lettino. Ma si dà anche il caso contrario, in cui si tratta in definitiva di fare in modo che sia un fobico a sdraiarsi sul lettino. E questo avviene per esempio semplicemente sostituendo un fazzoletto bianco sul poggiatesta dell'analizzante. Non è in questo caso un riconoscimento della fobia, ma un'evocazione della fobia. Che cosa succede nel primo caso? A essere richiamata è la contiguità tra la fobia e la psicosi. Viene sollecitato un atto nella realtà che coincide con l'angoscia che il fobico mantiene di una situazione insostenibile. Non per niente il luogo in cui si trovava la casa che il paziente di cui parlavo prima ridisegnava in analisi aveva un nome derivato dal verbo «sostenere», con riferimento all'argine di un fiume. Se la fobia nel bambino è una risposta all'angoscia, il disconoscimento della fobia come un luogo preciso che si colloca all'età di quattro anni, fa sì che qualsiasi risposta venga data all'angoscia che non tenga conto delle caratteristiche di quel luogo spinge verso la psicosi. La psicosi, sentivamo ieri, può forse essere letta proprio come il mancato avvenimento del luogo della fobia. 28
Vorrei qui ricordare il caso di una paziente fobica che spinta dal coniuge a superare con un atto di buona volontà la propria difficoltà, fece un pericolosissimo volo giù dalle scale. Come aveva risposto questa paziente? Con la rappresentazione nel reale di ciò che la fobia permette di passare nel simbolico: una questione che per il piccolo Hans per esempio, e non solo per lui, ruota intorno alla nascita di una sorella. Appare qui quella figura su cui intendo più avanti soffermarmi che è quella del bambino. Il bambino come qualcosa che cade e che prima di essere al centro delle fantasie .isteriche è niente di più che l'invenzione di un bambino. Un'altra tendenza in psicoanalisi, se grosso modo possiamo indicare la precedente come tentazione appartenente al filone della psicoanalisi «ortodossa», riguarda quegli psicoanalisti che tendono in un'analisi a privilegiare il discorso del posto dello psicoanalista. Dal posto dello psicoanalista cui una lettura frettolosa e travisante del pensiero di Lacan affida la prerogativa di sostenere un desiderio ciò che viene sostenuto è il desiderio dello psicoanalista. La sua modalità di accondiscendere a che ci sia un bambino, col mettere in evidenza la questione del contagio e della contaminazione, insiste su un'altra contiguità che l'anno scorso abbiamo scoperto al luogo della fobia, la perversione. Suggerendo la fobia all'isterica si previene il faticoso e pauroso ritrovamento di quel luogo nel corso di un'analisi. La risposta che viene data all'angoscia in questo caso spinge a saltare a pié pari quella che chiamammo la barriera molle della fobia perché ci si ritrovi nella perversione. A questo punto siamo in grado di rispondere a un altro quesito. Come mai nel dopo Freud l'apparire di tante fobie si sia accompagnato all'obliterazione della fobia. 29
Ciò che avviene è che disconosciuta nell'esperienza psicoanalitica, la fobia ricompare nella teoria psicoanalitica. Abbiamo prima accennato al bambino. Soffermiamoci ora un attimo su uno spunto che _riguarda un bambino. C'è un episodio interessante che Ferenczi racconta a proposito del suo nipotino. Un giorno parlando con lui gli raccontava come non fossero sempre gli uomini a scappare davanti al leone ma potesse qualche volta essere il leone a scappare davanti all'uomo. A questo punto il nipotino lo guarda e osserva: « L'agnello mangia il lupo». Ferenczi non gli contesta l'assurdo di questa risposta. Semplicemente gli dice: « Tu non credi che il leone possa scappare». Il bambino tace per un attimo, poi gli butta le braccia al collo e dichiara: « Ti voglio bene zio!». Innanzitutto possiamo osservare come qui la tecnica di Ferenczi non lo porti a fronteggiare il paziente. La sua modalità di tecnica attiva, non dobbiamo dimenticare che si distingue da quelli che saranno poi gli sviluppi di una tecnica attiva totalmente differenti, per la caratteristica di andare « contro pelo». Ciò che spesso Ferenczi arriva anche a imporre al paziente è sempre in contrasto col principio di piacere. Un'altra distinzione che emerge qui è il significato diverso da quello che molti daranno poi a questa espressione, che Ferenczi dà al « senso di realtà». Ferenczi non risponde: non è vero che l'agnello mangia il lupo; e nemmeno segue la via dell'interpretazione che potrebbe essere scelta da Melanie Klein: « Tu desideri divorare tuo padre». Tu non credi che il leone possa scappare. L'espressione di Ferenczi « Tu credi» apre di fatto uno spazio. Non si tratta dunque di una questione di desiderio, bensì di una questione di intelligenza. Di quella intelli30
genza analitica che come sappiamo non ha niente a che vedere con la comprensione, con il capire. Il momento di silenzio del bambino segna la possibilità di questo spazio. Questo episodio ci dà occasione di avanzare quella che ritengo una distinzione che posso formulare con due espressioni: tecnica psicoanalitica e tecnica della psicoanalisi. La prima ci dà l'illusione che la tecnica sia un metodo, che si possa apprendere e applicare. La seconda invece, che chiamo tecnica della psicoanalisi, è quella che comprende insieme il lavoro del sogno e il lavoro del Witz, e possiamo forse definirla l'arte con cui la psicoanalisi lavora i soggetti. Non è lo psicoanalista che lavora sul soggetto e nemmeno con il soggetto, ma è la psicoanalisi che lavora su entrambi. Per questa caratteristica la tecnica della psicoanalisi non può essere scissa dalla metapsicologia. Vorrei qui soffermarmi un istante su questi aspetti della tecnica in psicoanalisi e vedremo solo alla fine quale portata essa abbia nell'esito della cura. Con il titolo del seminario di quest'anno ho posto la tecnica tra il dire e il fare. Chiedendomi perché tra il dire e il fare ho raccontato un aneddoto. In Francia si rifiuta l'espressione: fare l'analista. Il fatto che per i francesi analisti si è dice qualcosa anche riguardo al loro rifiuto di un'idea di un analista che applichi appunto delle nozioni come può avvenire per un mestiere. Ecco, in Francia una sola volta ho sentito qualcuno dire « fare l'analista». Era Lacan. Quando usò con me questa espressione in una conversazione privata certamente intendeva « fabbricare un analista», tendeva cioè a sottolineare quanto un analista debba metterci di suo, quanto lavoro, quanta « inventiva» per fabbricarne un altro. A noi serve oggi il doppio senso di questa espressione. Se fare l'analista non è possibile nel senso di una 31
professione che si possa acquisire con un corso di studi, è indubbio tuttavia che l'analista ha molto a che fare con il «fare». Uno scritto significativo, mai considerato dalla psicoanalisi, è uno scritto di Freud del 1920: Preistoria della tecnica analitica in cui Freud racconta che aveva conservato un solo libro tra quelli la cui lettura l'aveva appassionato nell'adolescenza, una raccolta degli scritti di Ludwig Borne che conteneva un titolo: «L'arte di diventare uno scrittore originale in tre giorni». Di Borne dice addirittura che era stato il primo scrittore nelle cui opere si era profondamente addentrato. Ora, c'è qualcosa della tecnica che si inserisce proprio nel momento di scelta della nevrosi in cui il diventare nevrotico sfiora per un attimo la questione del talento: riuscire a disegnare. Proviamo a fare l'analisi del titolo che ha colpito Freud.· Innanzitutto: come diventare. Come diventare è un quesito originario, è ciò che tracassa il bambino tra i tre e i quattro anni, il bambino che sta per trovarsi alle prese con la fobia. Il titolo prosegue: in tre giorni. Il tempo ha una sua funzione. Il fatto di riuscire a diventarlo in tre giorni, numero perfetto peraltro, è qualcosa che prelude al rituale della nevrosi ossessiva. Quella nevrosi che Freud colloca come la tappa successiva della fobia. Uno scrittore originale. Uno scrittore, qualcuno che passa cioè appunto dal dire al fare. La scrittura è l'emblema di questo passaggio. E originale ci dà poi la chiave di lettura dell'intero titolo. Stiamo trattando di qualche cosa che ha a che fare con l'origine. Lo sforzo di diventare quasi istantaneamente qualcosa che si pone all'origine. Sforzo che riesce forse una sola volta nella vita per un breve istante: quello segnato, come vedemmo negli anni scorsi, dalla silhouette, la rapida realizzazione in un disegno, attraverso una tecnica facile, di qualcosa che sta ali'origine. Lo schizzo di un significante. L'incarnazione mimica di un simbolo. 32
L'anno scorso abbiamo individuato per la perversione un luogo culturale, una sorta di topologia culturale per cui si poteva riallacciare la perversione al momento di passaggio tra il tramonto della filosofia della natura e la nascita della scienza moderna: ricordate il gioco delle qualità in via di quantificarsi, come residuo del mondo del pressapoco nell'universo della precisione. Una qualità sempre insidiata dalla quantità, in cui è in gioco un calcolo, una misura. Anche per la nevrosi possiamo reperire un luogo di origine storico in cui questo storico non va inteso in modo cronologico empirico. Storico è un aggettivo che in psicoanalisi va inteso non nel senso dello sviluppo, ma in quello dell'evoluzione. Lo sviluppo riguarda quegli aspetti che si conservano, che continuano nella trasformazione e che si tramandano. L'evoluzione, come si vede nel Darwin dell'Espressione delle emozioni negli animali e nell'uomo, riguarda invece essenzialmente ciò che si perde, si stacca, si estingue. In questo senso Freud indica l'angoscia come un « sedimento di antichissime esperienze traumatiche», ma ci dovremo tornare, e Hermann indaga le conseguenze di un istinto inutile, senza oggetto e senza senso che è l'istinto di aggrappamento. E se il nevrotico fosse l'erede dell'artista così come si formò negli anni 1470- 1540, bizzarro, lunatico, sempre preoccupato di far corrispondere la sua vita al cliché della « vita di artista»? Ma l'interessante è questo, che la figura dell'artista è implicata con la manualità, anzi con il riscatto della manualità, di quella attività manuale che, fin dall'antichità, era considerata retaggio degli schiavi. Improvvisamente alla fine del '400 si passa a un'esaltazione della manualità che porta con sé la questione di una tecnica: come posso diventare un artista di genio? La nascita della nevrosi è compagna del riscatto della manualità. 33
Se prima abbiamo collocato questa domanda nel momento che prelude l'insorgenza della fobia, quello che stiamo dicendo adesso ci permette di collegarci con un tempo successivo, quello dell'adolescenza. Questa fantasia del diventare si ripresenta infatti nella vita del bambino che sta per diventare adulto, ma accompagnata questa volta da un completo «disastro». Capacità che tramontano,· bravure che cominciano a deperire, abilità insostenibili, che il soggetto stesso non riesce a sopportare. C'è qualcosa di insostenibile nel fatto di «saper fare». E la silhouette «richiama» l'imperizia. In uno scritto del 1920 intitolato Matematica, Ferenczi osserva come la psicoanalisi non abbia affrontato le questioni relative al talento: per esempio al talento matematico che si accompagna di solito alla passione per la musica e che, come suggerito da alcuni, a volte non è disgiunto da una completa idiozia in altri campi. Ferenczi distingue tre fasi della breve storia della psicoanalisi fino a lui. La prima, che egli definisce drammatico-catartica, rivaluta l'influenza dell'ambiente e di eventi particolari in contrasto con la tecnica psichiatrica che spiegava tutto in base alle nozioni di ereditarietà e costituzione. Nel secondo periodo si afferma la «teoria della libido» di Freud per spiegare in base ad essa lo sviluppo dell'individuo con un'attenzione anche allo sviluppo del pensiero in campo artistico, scientifico ecc. In questo periodo lo studio della costituzione, utile a comprendere anche il talento, viene riscoperto limitatamente però alla forma della «cÒstituzione sessuale» che la psicoanalisi fin qui privilegia. Terza fase, la metapsicologia: ed è a questo punto che la psicoanalisi dovrebbe scoprire gli aspetti e i moventi formali e quantitativi nonché la sfera delle disposizioni e dei talenti. Parallelamente, forse proprio nello stesso anno 1920, 34
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