Il piccolo Hans - anno X - n. 40 - ottobre-dicembre 1983

pulsione a scrivere, che permette esattissimamente di leg­ gere le fonti da cui procede e che, censendo queste fonti, le allarga; questo lavoro di una lingua - in memoria di altre lingue - che finisce col divenire effettivamente la mia. Non più il francese come tale, quello dell'«io tem­ porale», ma il formidabile spostamento attraverso cui l'al­ diqua e l'aldilà cooperano, si mischiano, sino a quel punto mobile in cui la loro fusione si produce raccontandosi, recitandosi. «Per arrivarvi partire dal fatto che sono francese e nel modo che esprime al meglio la mia forza di volontà presente, attuale, immediata, umana, autoritaria e correggere poiché io è qualsiasi cosa, il mio modo di farlo non è quella di un altro Sarò sempre io che parla una lingua straniera con un accento sempre riconoscibile» 4 • La poesia sarebbe in tal modo la sola prova effettiva dell'esistenza, la sola ugualmente incontestabile e preci­ samente in ragione della sua originalità, di quella cosa unicamente riconoscibile dalla sua singolarità. Si tratta dunque di mettere la lingua in uno stato tale che, per l'essenziale, non appartenga più che al suo autore, affinché la figura di questi vi sia sempre leggibile, che divenga afferrabile nelle sue grandi linee a misura che il lettore si costituisce. Il testo di Antonin Artaud cerca senza cessa di costituire il lettore, di condurlo aldilà di lui stesso; vuole interrogare il dialetto del suo lettore, il rapporto che questi intrattiene con la sua lingua, come allo scopo di renderglielo manifesto, vale a dire problematico. Il so­ gno che guida in buona parte la scrittura di Antonin Ar­ taud, è che il lettore si costituisca attraverso quello che 108

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