Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983
Un sogno e un gesto che articolano immaginario e simbolico al di là di quella «questione a due» che è la follia. «Il sintomo psichiatrico diventa psicoanalitico quando è assunto non come segno ma come significante» 17• Quan do, per chi lo ascolta, non rinvia a qualche cosa ma al soggetto stesso. Se per Lacan non esiste dialogo e per Clavreul i di scorsi fra medici e psicoanalisti si incontrano talvolta intorno agli stessi sintomi ma non si articolano mai, nel l'istituzione psichiatrica come è configurata oggi, luogo sociale dell'interrogazione sulla follia, un rovesciamento diviene possibile. Lo psicotico non pone una domanda, il più delle volte qualcuno lo fa per lui. Lui ha già dato risposta alla do manda sul suo essere con l'ingresso nella psicosi: «dando i numeri». Si tratta di permettere la traduzione di questa risposta in una domanda che consenta di sfuggire la cri stallizzazione del soggetto in quel posto denominato follia. L'istituzione psichiatrica si configura come un luogo «supposto sapere», oggetto di un'interrogazione alla quale sa di non poter rispondere. Rinunciando alla formulazione di una teoria chiusa e compiuta sulla «malattia mentale», un ascolto attento alla parola, dimensione in cui la follia ci viene proposta, può aprire un varco alla compr�nsione. Qualsiasi teoria che si assuma come «sapere sulla fol lia», sia quella di un Io deficitario, di un bambino carente di amore materno, che un uso della forclusione del No me-del-Padre, funge da resistenza all'ascolto di quella pa rola che, anche col mutismo e con il gesto, il paziente dispiega davanti a noi. Dare una risposta alla domanda formulata da altri sulla sofferenza di qualcuno può solo ripetere l'oggettiva zione che il delirante, ad esempio, fa risalire ad altri, quelli che lo perseguitano, lo amano, lo accusano, spin- 85
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=