Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983
che somiglia molto a quei sogni nei quali il sognatore sogna d'aver sognato. Sono momenti in cui si pone final mente la questione stessa del reale e della realtà; dico «finalmente» perché è sorprendente che questo aspetto sia stato messo in questione solo recentemente, e con soluzioni così diverse, soprattutto da Brecht e Pirandello (anche se altri autori, in modo particolare Shakespeare nell'Amleto, avevano già impiegato questo contrasto). Il punto sul quale vorrei insistere, per seguire Luigi II, è la cornice. La cornice ci protegge perché ci fa l'oc chiolino - che designa l'immaginario come tale - e ci risparmia delle cantonate clamorose. In un quadro è e vidente: una pittura che non ha cornice si chiama trompe l'oeil anche se per un affresco ci si può servire della cornice in qualche modo naturale costituita dal- muro che delimita la stanza. Luigi II si sforzava proprio di soppri mere, di eliminare al massimo tutto ciò che può fungere da cornice, e in particolare modo ciò che, a teatro, costi tuisce la finzione decisiva per il piacere dello spettatore comune. Bisogna che ne parliamo, quindi, di questo spettatore comune, il nostro. vicino, noi stessi, quello insieme al qua le costituiamo una folla. È vero che lo spettatore viene invitato dal gioco spettacolare a identificarsi a questo o · a quell'attore, spesso a molti contemporaneamente, ma c'è anche un altro aspetto del gioco identificatorio, del quale si parla poco, ma che è altrettanto fondamentale: l'identificazione al proprio vicino. È risaputo che andare a teatro a Belleville o ai Champs Elysées non è la stessa cosa. È noto anche che non si va a teatro con chiunque, ma che bisogna sceglie_rsi un compagno o una compagna. Il miglior spettacolo può diventare una catastrofe se il vicino ride o piange fuori tempo. Sono cose note, ma non se ne parla - perché non se ne deve parlare: certo non si va a dire a uno che lo si invita perché è un buono spettatore; c'è il rischio di e- 28
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