Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983
Se ha un senso parlare di identificazione per quanto ri guarda l'attore, bisogna dire che questa non si stabilisce col personaggio rappresentato, ma piuttosto con lo spet tatore, con quello che tutte le sere viene a dirgli qualc9sa su ciò che egli prova, e quindi sulla sua recitazione. A teatro si produce una singolare illusione: credere di avere a che fare con una cornice spaziale - quella delimitata dalla ribalta. Ma la ribalta può essere benis simo oltrepassata, e d'altronde non era indispensabile, per esempio ai tempi di Molière. Quando si va a teatro ci si va anche per farsi vedere, e bisogna vestirsi bene: la cornice spaziale, ammesso che ci sia, è piuttosto l'intero edificio. Il teatro è piuttosto una cornice temporale, con un inizio, segnato dai tre colpi, e una fine, quando si abbassa il sipario. Così, quando si parla di «finzione» teatrale (ma anche di finzione romanzesca) non si spiega che cosa sia il teatro (o il romanzo); si fa solo capire che, una volta abbassato il sipario (una volta chiuso il libro), si ritorna alla realtà. È per questo che a teatro, al cinema o in un libro, si possono tranquillamente tollerare delle cose molto sgradevoli e angosciose: le si tollera e, addi rittura, le si desidera, perché si sa - e questo è molto · rassiGurante - che la realtà è tutt'altra cosa. Ecco l'illu sione che ci beffa inevitabilmente! Infatti questa specie di opposizione dialettica di finzione e realtà non ci dà nessuna solida garanzia per quella che consideriamo la realtà quotidiana e che può essere altrettanto terribile ed anche peggiore del dramma o del melodramma più spaventosi. Non è certo il caso che vi ricordi l'interessante lavoro di Octave Mannoni sul teatro, in particolare sull'impiego che certi autori hanno fatto di questo gioco di «finzione» e di «realtà» - termini che è necessario mettere fra vir golett�, come dovremmo fare quando sulla scena viene rappresentata proprio una scena di teatro. È qualcosa 27
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