Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983
sue conclusioni storiche-sociologiche non si fermano a queste poche note. Che dire, infatti, dell'uso che Lasch fa del testo letterario? Il riferimento è qui alla scrittura diario, alla narrazione-confessione; testimonianze ulteriori della nuova cultura del narcisismo. Ne sono coinvolti scrittorucoli di poco valore letterario accanto a un P. Roth, un S. Zweig, a un F. Exley e, ancora, accanto alla scrittura di Silvia Plath; letta dall'autore come «indimen ticabile espressione di risentimento» frustrato nei confron ti degli uomini. Che dire, ancora, del riferimento quasi incomprensibile al teatro moderno (le citazioni vanno da Pirandello a Brecht, da Beckett a Ionesco, da Genet al Living), che contrapposto al teatro classico di Sofocle, Shakespeare e Ibsen, non essendo più in grado di creare l'illusione della realtà, non essendo disponibile a misurarsi con rap presentazioni che concernono «verità coerenti e universal mente riconosciute», favorirebbe «un approccio teatrale all'esistenza» e dunque una specie di teatro dell'assurdo dove il sé ha il ruolo del protagonista? Credo che queste annotazioni parlino senza commento, senza il necessario riferimento al lavorio delle avanguar die storiche, della scrittura, della poesia e dell'arte di tutto il nostro novecento. Un ultimo fiore e con esso un'ultima querelle, che vede coinvolto, ancora una volta, il Divin Marchese. «Le attuali condizioni sociali (quelle che hanno prodotto la cultura del narcisismo) si avvicinano a quelle prospettate dal mar chese De Sade». A parere di Lasch, la società ideale di Sade «riaffermava... il principio del capitalismo, secondo cui, in ultima istanza, gli esseri umani sono riducibili ad oggetti interscambiabili». Ecco distrutti co · n un sol colpo di spugna (alla cieca?) cinquanta anni di letture faticose e di visitazioni assai scomode dell'opera di Sade. Dai testi del 1947 di Bataille, Blanchot e Klossowski, a Il Principe splendente di Sergio Pinzi, dove l'immagine 181
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