Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983

dello stato creaturale privo della grazia». Non così nei drammi tedeschi. Dove l'apoteosi del re, toccando il culmine, subito s'infrange contro lo scoglio della · «ineludibile transitorietà» di tutto ciò che avviene nell'orizzonte profano della storia. Qui il trionfo della maestà è rappresentato solo come preludio di una caduta terribile e rovinosa. Non solo l'eternità, ma neppure la durata effimera dell'illusione o gli ingannevoli istanti del sogno possono intervenire ad arrestare la corsa del «tempo che uccide». Al dominio di questo tempo mortale, visibile nello «sconsolato dipanarsi della cronaca del mondo», la dramma­ turgia barocca tentava di sottrarsi circoscrivendo il movimento delle azioni storiche nello spazio chiuso e definito della corte: qui gli eventi si disponevano coreograficamente gli uni accanto agli altri, quasi a comporre un quadro naturale, un panorama immutabile, entro i cui confini venivano sospesi gli effetti dello sviluppo temporale 16 • Su questo sfondo, analogo allo scenario 'preistorico' dei giorni della creazione, la posizione del sovrano si identificava con quella di Adamo, il primo uomo, dominatore di tutto il creato. Ma nel momento stesso in cui la figura del monarca era innalzata al rango di tale assoluta signoria naturale, essa si vedeva investita di tutto il carico di miseria povertà e dolore trasmesso dal peccato originale alla nuda esistenza dei viventi. Con quella medesima figura si intendeva allora presentare null'altro che «un emblema dei difetti della creazione». I vessilli del potere regale non dicono più il trionfo, ma rappresentano anch'essi stazioni della caduta. Lo scettro im­ pugnato dalla mano del principe diventa segno di una facoltà di comando annullata dallo sguardo derisorio di un volto: quello del teschio, in cui si configura la «storia in tutto quanto ha, fin dall'inizio, di inopportuno, di doloroso, di sbagliato» 17• E la testa che porta la corona ne conosce soltanto il peso e l'inesauribile tormento. Duplice è l'espressione di questo pa­ tire. Perché in quanto «latore e simbolo del significato» il re s'accosta al sentimento della natura, che invece chiede di ef­ fondersi nella purezza della parola, e così mentre tradisce quel muto sentire - portato a smarrirsi nelle regole del linguaggio, costretto a trasformarsi in lutto - soffre di averlo allontanato per sempre da sé, restando come un sigillo mancante della 130

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