Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983

zione dei nomi è inteso in due sensi: letterale e allegorico. Secondo l'interpretazione letterale esso sta a significare sem­ plicemente il potere del primo uomo, descritto come un sovra­ no 9 • Rappresenta più precisamente il complemento della sua capacità di creare; e l'unicità del decreto con cui gli esseri sono nominati sta a garantire il giusto ordine fra i medesimi 10• Secondo l'interpretazione allegorica la scena costituisce una prova per l'uomo, la prova dell'abbandono di Dio, la prova di una solitudine: l'uomo è vagliato nella sua capacità di di­ scernimento delle cose nella luce in cui Dio le ha create 11 e nella sua capacità di distacco dalle cose come beni, valori, meraviglie, in vista di un loro uso come pura necessità per la vita. Questa visione sobria del contesto paradisiaco, questo rapporto problematico e drammatico con gli esseri creati emer­ ge con tutta chiarezza nel senso dato al verbo chiamare («e come l'uomo chiamasse gli esseri viventi tale fosse il loro nome»): il termine non denota il procedimento gnoseologico d'identificazione della qualità o natura delle cose; non denota neppure la presa d'atto della varietà del mondo e la descrizione fenomenologica oggettiva. Denota invece una scelta: la scelta della vita che l'uomo vorrà condurre, data la reciproca assi­ milazione fra chiamante e chiamato 12• L'esegesi di Benjamin, come quella di Filone, è attenta alle due fasi del racconto: indaga prima il senso del decreto di Dio di dare un aiuto all'uomo e del rinvenimento dell'aiuto adeguato solo nella donna; poi il senso dell'imposizione dei nomi. Ma mentre Filone vede ripreso nei due episodi, con termini diversi, il medesimo concetto e cioè l'antinomia della condizione umana, la solitudine della prova, la drammaticità della scelta (secondo un'impostazione che mira a centrare la differenza fra le due creazioni dell'uomo), Benjamin invece (in maniera conseguente con un'impostazione che mira a co­ gliere la differenza fra creazione della natura e creazione del­ l'uomo) vede istituito un confronto. Il nome dell'uomo non è detto da Dio ma è detto dall'uomo stesso. E l'uomo, non Dio, che nomina i suoi simili. E l'uomo che nomina la donna. Quan­ do l'uomo pronuncia il nome proprio (donna = 'issà; uomo = 'is), Dio non l'ha già pronunciato. Quando invece l'uomo nomina gli esseri viventi, Dio, nella creazione originaria, li 119

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