Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983
quando dice che «le lingue delle cose sono imperfette, e le cose sono mute», ma subito dopo aggiunge che le cose possono comunicarsi solo mediante una comunità più o meno materiale: «questa comunità è immediata e infinita come quella di ogni comunicazione linguistica; ed è ma gica . » 6 • Se da un lato la lingua è il medio della comuni cazione, poiché l'essenza spirituale della cosa in essa è da sempre manifesta, dall'altra parte quest'espressione è sempre sul filo del fraintendimento, poiché nel nome non irrompe immediatamente la certezza della cosa, ma la . magia della traccia. Solo se ci si pone dal punto di vista di Dio il nome può divenire rivelatore . della cosa. Ma porsi dal punto di vista di Dio significà attingere unitamente alla mate rialità del suono il gioco della sua relazione: la sua regola. La legge in forza della quale il segno si articola all'oggetto e lo rivela. Bisogna associare la semantica del segno al suo giuoco relazionale e alla sua sintassi. Certo non l'uso strumentale del linguaggio, ma l'esplicazione del giuoco originario che pone l'essere; quell'essenza nominale che è anche immediatamente natura: la creazione divina. C'è la purezza della lingua in quanto è manifesta la relazione tra la cosa e la sua essenza. Benjamin tende al massimo questa corda: l'aspirazione al linguaggio puro ossia ad · una identificazione del nome così come è nel giuoco di Dio. D'altra parte la caduta di Dio ha prodotto la perver sione di ogni nome. L'allegoria dell'eterno può allegoriz zare solo se stessa e ricadere nella morta cosa. Ma non vi sarebbe aspirazione se lo spirito non spirasse ancora nella parola. Esiste allora una logica della lingua che sia capace di chiarire la sostanza del nome, che sappia attingere la sua valenza reale sottraendola all'uso perverso della sua semplice indeterminazione materiale? La filoso fia di Benjamin, come filosofia dell'espressione, ripete continuamente l'esperienza tremenda dell'aporeticità della lingua, che non è più di Dio e perciò stesso non può 114
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