Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983

Fuori da quest'elemento, ogni . determinazione si dis/perde poiché la cosa non più custodita viene scissa dal suo senso e perciò stesso perduta. Se tutto ciò che esiste è custodito nell'elemento della parola, per la stessa ragione è in essa da sempre e .per sempre salvato. Ci si salva, infatti, se ci si mantiene nell'elemento che genera e cu­ stodisce. Ma la parola che salva è la parola pura. Parola pura per eccellenza è il nome. La filosofia di Benjamin, se così la vogliamo chiamare, è radicata originariamente nel nome o nella parola pura in quanto luogo della custodia e della salvezza. Il nome profanato, o la parola impura, è, per converso, il luogo della dannazione. Ma perché il nome è parola pura? E in che consiste l'impurità del nome e quindi la lingua deietta? La parola pura è nome poiché appella . ed esprime la cosa; nel contempo, il nome è parola pura poiché è la cosa stessa. Detto altrimenti, la parola pura è tale perché originaria e non strumentale: essa non è giustapposta alla cosa dal di fuori e per arbitrio convenzionale, bensì è il contrassegno immanente della natura della cosa: è la sua essenza spirituale in quanto comunicabile. Ma, an­ cora una volta, la comunicazione non è da intendere come un passaggio estrinseco d'informazione tale che comuni­ cando si dice a qualcuno qualcosa. Se così fosse si da­ rebbero come note alcune nozioni del tutto non chiarite, andando incontro a dei veri e propri inconvenienti sia logici che espressivi. Si presupporrebbe, in primo luogo, nota la cosa fuori dalla comun:rcazione; si supporrebbe possibile assumere quest'entità, nota fuori dalla comuni­ cazione (non si sa come), nella comunicazione, per comu­ nicarla, appunto, ad un destinatario; si supporrebbe, in­ fine, un destinatario fuori dalla comunicazione, reso re­ cettore della comunicazione dalla comunicazione stessa. Ma nessuna cosa sarebbe nota se già non si comunicasse, né alcuna trasmissione o assunzione sarebbe possibile 110

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