Il piccolo Hans - anno X - n. 38 - aprile-giugno 1983

tistica: «categoria del linguaggio e dell'arte», può, pertan­ to, scrivere Benjamin. Ancora una volta e oltre ogni possibilità di equivoco, nel privo di espressione è in questione non il rimando a un indicibile, ma lo svelamento dello statuto più vero della lingua. Questo - così com'è definito tanto nel saggio sulla lingua del 1916 che in quello sul Compito del tra­ duttore del '21 e nella premessa gnoseologica all'Origine del dramma barocco - è una parola cui non inerisce più alcun significato esterno, che essa dovrebb.e comunicare, , una parola che non vuole più dire e comunicare nulla ma è in se stessa e immediatamente la comunicazione. Non era nostra intenzione, in questo seminario, spin­ gerci fino a una analisi esaustiva del concetto di lingua che è implicito nella categoria dello Ausdruckslose. Una simile idea - la parola inespressiva - è certamente difficile da pensare, per un pensiero ormai avvezzo da tempo a concepire il linguaggio come un codice destinato alla co­ municazione di un messaggio che gli è esterno. Vorrei . limitarmi a leggervi due passi, di autori diversi e lontani, · in cui è, forse, in questione un problema che non è estra­ neo a quello che Benjamin affrontava con la categoria dello Ausdruckslose. Il primo passo si trova alla fine della Scienza della Logica. Qui Hegel, giunto all'esposizio:qe del­ l'assoluto come idea, scrive: «La logica espone l'automovimento dell'idea assoluta solo come la parola originaria, che è un proferimento, ma tale che, come proferita, immediatamente dilegua, in quanto è. L'idea è così soltanto nella autodeterminazione di in­ tendersi, essa è nel puro pensiero, dove la differenza non è ancora essere altro, ma è e resta perfettamente · traspa­ rente a sé». Il secondo passo è tratto dal diario di un poeta, Marina Cvetaeva, in data 26 settembre 1940: «La mia difficoltà (nello scrivere poesie e, forse, la difficoltà degli altri nel leggerle) è nell'impossibilità del 107

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