Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

che è anche un perpetuo partir), ma il paradiso delle lingue come spazio riservato e «senza pari» 33 del dire della parità e della parità del dire: para-dis. Ed è questa la ragione, crediamo, per cui l'ordine della relazione tra Paris e Pontoise può essere invertito nell'opera di Villon, senza che Parigi ne venga danneggiata: Né de Paris emprés_ Pontoise (P. V., XIV). L'Abécédaire di Huon le Roi de Cambrai conferma quanto nella nostra interpretazione potrebbe apparire un gioco gratuito: P senefie paradis Et le pere qui para dis (v. 205-206) (La lettera P significa il paradiso e il padre che dice la parità) 34 Questo testo stupefacente, che cortocircuita tutto ciò che ci siamo sforzati di trarre dal testo di Villon a partire da quel «Père éternel» che conserva nella propria memo­ ria il segreto dell'idioma perduto, diviene qui esemplare e dovrebbe bastare a dimostrare come l'aequalitas lavori senza tregua il contraddire di François Villon, il figlio della parroissienne analfabeta (1,895). Per il poeta, infatti, non . si tratta di scrivere per dire qualche cosa, ma di scrivere per non dire niente. Quando Villon, nel Testamen­ to, dichiara di parlare ung peu poictevin (v. 1062), ciò che vuole intendere è precisamente quel nulla di finzione che apre nel linguaggio, ricevuto e citato, un vuoto dal quale èi ritorna, in base a un allontanamento del senso delle parole, quel mormorio originario di un altro parlare che sorge dalle «grotte della morte». Ed è questa l'arte dell'«enfant de Paris», un'arte di un'eleganza raffinata, ove gli artifici dell'astuzia, uniti con la grazia, producono come per miracolo l'effetto spontaneo di una lingua capace al­ l'occorrenza di farci vedere il «Paradiso in immagine». Non è possibile dimenticare la figura toccante della 88

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