Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

immaginaria, un padre fittizio, che in pari tempo sarebbe il figlio, la creatura, della sua opera, ma 11 cui essere identico viene simulato dalla differenziazione di un solo e medesimo significato della guille. È proprio questa la favola dell'origine, la pia astuzia con cui il figlio inscrive subito, nel Lais, quel nome del padre che ricollega saldamente alla filiazione della Trini­ tà: · Primiereme�t, ou nom du Pere, Du Filz et du Saint Esperit, Et de sa glorieuse Mere Par qui grace riens ne perit, Je laisse, de par Dieu, mon bruyt a maistre Guillaume Villon, Qui en l'onneur de son nom bruyt, Mes tentes et mon pavillon (L. 65-72). Viceversa, se si tien conto della variante che caratte­ rizza questa stessa chiamata in causa del nome nel Te­ stamento e di come questa figura del padre venga ingar­ bugliata: Item, et a mon plus que pere, Maistre Guillaume de Villon Qui esté m'a plus doux que mere (T. 849-51) non è il figlio, potremmo dire, che genera la nuova figura del padre, tanto più che questa strofa, molto più lontana dal suo supporto liturgico, ne è divenuta come indipen­ dente? Villon, figlio della guille - intendiamo, nel senso forte del termine, «figlio della sua opera»; Villon che gioca d'astuzia con il linguaggio, opera una speculazione ove lo «scambio» tende a rendere equivalenti il padre, il figlio e la madre sottraendoli alla loro contingenza storica. Una 68

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=