Il piccolo Hans - anno X - n. 37 - gennaio-marzo 1983

trollabile: ma è questo timore che traccia i confini della persona. Perché si addivenga alla formazione di una mas­ sa, è necessario che questi confini si slabbrino e poi scom­ paiano. Perché cessi la paura reciproca, è necessario che gli uomini si serrino disperatamente gli uni agli altri, come scrive Canetti aderendo acriticamente al dettato prossemico del discorso. Più ih là, la paura del contatto reincorpora la vicenda della mano e del potere: il primo segno di riconoscimento dei potenti è la costruzione di distanze/barriere invisibili che impediscano il contatto. La fascia di potere di cui dispone il singolo è tutta nelle distanze che riesce a creare attorno a sé. In altra occasione («Il piccolo Hans», n ° 35) mi è ac­ caduto di segnalare, a proposito di Le Bon, che il pur spettacolare avvento della massa nella riflessione europea del nostro secolo non avrebbe potuto evitare questo sco­ glio del contarlo interpersonale come sede di smistamento e di riclassificazione sorda del potere. Quando questo schi­ vamento c'è stato, l'analisi della massa ha condannato all'implausibilità i propri strumenti teorici: e nell'inflazio­ nata produzione saggistica sul tema si è potuto assistere all'omissione dell'elemento più vistoso, che cioè la sovra­ nità è una tecnica dell'equidistanza ma anche della neces­ saria. compensazione di questa equidistanza nel disordine e nel pullulare dei contatti orizzontali, capaci di ammor­ bidire la rigidezza delle distanze e di far ammassare gli elementi. Oltre i quali c'è, appunto, il vertice. Infatti: dif­ ficilmente la pratica della sovranità avrebbe potuto tro­ vare un'esteriorizzazione linguistica più felice di quella, rigorosamente spaziale, che ha trovato. Bruno Accarino 186

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