Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982
legare Bertolucci alla responsabilità della sovradetermina– zione dell'icona, ma restando intrappolato egli stesso nello scivolamento del significato al di sotto della barra di si– gnificazione: nulla distingue una foto vera (l'istantanea familiare) da una foto falsa (il fotogramma di un film) se non la didascalia. Supremazia del significante già at– testata da Bertolucci nel dire che l'unico vero autore del film è la macchina da presa: «La macchina da presa filma sempre molto di più di quello che c'è scritto in sceneg– giatura, di quello che nasce sul set, di quello che è nella testa di chi la dirige» (p. 179). Sicché anche questo libro dal duplice autore - così come ogni film, effetto di verità non rivendicabile da nessun soggetto - ripropone il pro– blema dell'origine dello sguardo: «Quando un'inquadratu– ra comincia, chi guarda chi?» (p. 196). OSCAR WILDE Saggi Milano, Mondadori («Oscar»), 1982 Marcello W. Bruno Buona occasione, questa, per leggere o rileggere, ma– gari in treno, gli interventi teorici e critici (cfr., tanto per cominciare, Il critico come artista, dialogo del 1981) di Oscar Wilde. Consigliabili intenti e/o conclusioni di lettura parziali. Per esempio. Borges scopre «la voce, e i procedimenti [di Kafka], in testi di diverse letterature ed epoche». La confutazione zenoniana del moto, con l'idea di un corpo che non può passare da A a B perché a metà del percorso gli rimarrà da percorrere un tratto ulteriormente dimezzabile, ad in– finitum, è la forma logica de Il castello. E consimili sco- 224
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