Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982
stituisce l'equivalente psicopatologico del fenomeno della falsa coscienza. L'uso metaforico del Liffey in Joyce è dello stesso segno dell'uso metaforico del volto nell'opera di Lévinas: un'allegoria delle sindromi estetiche di Zutt, perché, sul serio, bisogna decidersi se è senza conseguenza il fatto che gli uomini sono costretti a misurarsi con le loro a– zioni, esse spesso li seguono, ma sempre li sorpassano per le loro conseguenze. Dice Lévinas, la guerra è l'unico risultato che gli uomini vogliono, almeno fino a quando di questo viaggio chiamato vita non si trovi un passaggio. Agli antipodi della guerra, capovolgimento assoluto della stessa cosa, si colloca lo spettacolo dove l'esperienza as– soluta non è rivelazione «ma svelamento del suo doppio». Dove non c'è guerra domina la malinconia, essa ha un andamento epocale, si riflette sul volto, ma si misura dal passo da tomba a tomba, sulle generazioni, così·, è invisibile nel suo movimento, ma non nei suoi effetti, rispecchiamento assoluto di un'ossessione, quepa di con– cludere, che perseguita i figli di Clio. Questa malinconia rivendica a sé il primato dell'errore che come la spada di Brenno è gettata sul piatto delle verità metafisiche, disfacimento dell'espressione nel quale il volto, come un tema, è produzione di senso. Questo primato dell'errore è l'equivalente depressivo della dispe– razione: eccita ai consumi maniacali della speranza, a sormontare ciò che occulta l'anima, in silenzio. Ma - scri– ve Lévinas - «un mondo assolutamente silenzioso che non arrivasse a noi tramite la parola, foss'anche menzo– gnera, sarebbe an-archico, senza principio e senza inizio. Il pensiero non si scontrerebbe con nulla di sostanziale. Il fenomeno si degraderebbe, al primo contatto, in appa– renza e, in questo senso, si manterrebbe nell'equivoco, nel sospetto di uno spirito maligno». Questa è l'anarchia 220
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