Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982
mento interno-esterno. Tende anzi ad abolire ogni nozione di barriera, di soglia. Altri passi della sequenza riguardante il Castello mi– sterioso (che chiameremo Castello A) fanno emergere un discorso che definirei filosofico-letterario. - Et que firent-ils là? - Jaques disait, ce qui est écrit là-haut; son maitre, ce qu'ils voulurent, et ils avaient tous deux raison (p. 29). Ora con questo tipo di sintagmi non solo tutta la sequenza del Castello A viene inserita in una «inscription» filosofica più ampia, quella del grande rotolo («ce qui est écrit là– haut»), ma viene arricchita di una problematica della vo– lontà e della verità. Un discorso più prettamente letterario sembra emer– gere da altri enunciati della sequenza magari sotto la forma di riflessione indiretta sul discorso romanzesco stesso. - Qu'y disait-on? - Quelques vérités et beaucoup de mensonges. - Y avait-il des gens d'esprit? - Où n'y en a-t-il pas? et de maudits questionneurs qu'on fuyait comme la peste (p. 30). Non possiamo a questo proposito dimenticare che il rap– porto romanzo-verità è uno dei temi portanti di tutta l'o– pera. La presenza inoltre di elementi verbali come «gens d'esprit» e «maudits questionneurs» possono ricondurci appunto a una problematica del testo romanzesco. Che sarebbe rafforzata nella sequenza da alcune çorrisponden– ze con elementi del testo circostante. Vorrei per il momen– to sottolineare la corrispondenza tra la presenza nel ca– stello dei «maudits questionneurs» e la presenza qualche riga più avanti del «questionneur» per eccellenza nel ro– manzo, cioè il Lettore che è un interlocutore presente anche a proposito di questa dimora di Jacques e del suo 146
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