Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

del valore primario che ha questa cellula nell'economia del racconto. Il manichino e il ritratto L'applicazione dello schema di discorso già descritto richiede di selezionare il testo secondo sequenze narrative di lunghezza variabile. S'intende che i blocchi così isolati possono apparire arbitrari; non meno arbitrari, i criteri di iscrizione nel modulo. Ma l'arbitrarietà è forse l'unico strumento promettente per teorizzare, soprattutto in ma­ teria di fiction; e alla distanza, il più capace di ritrovarsi munito di un minimo di necessità. La prima sequenza corrisponde al primo capitolo, e lo codifica. In risposta a un annuncio sul giornale, Simon va ad un appuntamento in un vecchio capannone abban­ donato dove s'imbatte in un uomo stilizzato secondo il modello divulgato dai film e dai romanzi polizieschi: im­ permeabile, cappello calato sugli occhi, occhiali neri. Ma l'uomo parla con voce femminile, è Djinn; anzi, non è neppure una donna vera ma un manichino. Al piano su­ periore Simon avvicina Djinn in carne e ossa, camuffata nello stesso modo. Arruolato in un'organizzazione clande­ stina, dalle enigmatiche finalità, viene inviato alla sua prima missione. La sequenza, letta secondo i canoni abbozzati, mostra come il vero soggetto non è Simon ma Djinn che ne comanda tutto lo spiegarsi. Con l'inganno del manichino, con l'effetto di scena girata due volte, Djinn produce anche la propria finzione, la propria specularità; nello stesso tempo si propone come oggetto vale a dire come fine di intenzioni ( proprie? altrui? ) . Il rapporto dinamico discor­ sivo di questa sequenza sarà così rappresentabile: � ( 1 ) i I D 72

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