Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

nabilmente lo spazio produttivo che un titolo può riven­ dicare. Secondo un certo tipo di conflittualità profonda, un romanzo s'intitola contro se stesso, nella sfera del si­ mulato, dell'antifrasi. Così Djinn, magari, s'etichetta con­ tro l'affermazione di un famoso capitolo adomiano «la casualità di un nome proprio su di un testo sottolinea fino all'insopportabile la finzione originaria secondo cui si tratta di persona vivente». Alla prova dei fatti, Djinn rovescia il guanto: ciò che si enunzia al limitare non è una finzione di vivente ma una finzione di finzione. «Djinn» fornisce la cellula generativa (per lo meno quale «étrange syllabe» di cui parla la poesia di Hugo, che il titolo di Robbe-Grillet ricalca parodisticamente...) di quella trama o campo che determina a sua volta il testo visibile del romanzo. Da essa scaturisce la catena fonica secondo la quale si struttura il racconto, come sintassi narrativa e come linguaggio; catena che si può scrivere così: Djinn - Yann - Jàn - Jean - Jane - Djinn dove Yann e Jàn sono varianti di soprannomi (o secondi nomi, o veri nomi?) di Simon, Jean ha due suoni secondo lo si pronunci all'inglese o alla francese e designa allora il ragazzo coinvolto nelle avventure di Simon, Jane riman­ da all'attrice cinematografica Jane Frank, due volte chia­ mata in causa per la sua somiglianza con Djinn ma anche (cfr. p. 133) con l'amica di costei, Caroline. (La catena qui omette, per scarsa pertinenza, il suono di «jeans» che pure è presente come ovvia abitudine associativa, starei per dire di koiné linguistica dei nostri giorni e dei nostri usi.) Tale modulazione di fonemi ha per primo e non tra­ scurabile effetto di svuotare i nomi propri del valore di simboli ontologici. Se le loro componenti grammaticali si permutano l'una nell'altra è anche perché un fading sostanziale coinvolge lo statuto di personaggi ossia di soggetti delle figure che essi designano. Prova aggiuntiva 71

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