Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

(' Queste indicazioni sommarie, che rientrano in un'idea del romanzo come riflessività permanente infinitamente moltiplicata in se stessa, risuonano con un fascino che non ne copre il lievissimo ma ineliminabile fané. È indi­ scutibile il valore di rottura, di rilancio al nuovo che per il romanzo hanno voluto dire la teoria e la pratica di una scrittura romanzesca nella quale «la finzione (fic­ tion) che essa propone non sia altro che la drammatiz­ zazione del proprio funzionamento...». Lucien Dallenbach, nel suo Récit spéculaire, ha passato in rassegna gli avatars di questa procedurà per cui non solo ogni parte rispecchia se stessa, ma l'intero romanzo reduplica il proprio modo d'essere: momento indispensabile, dal quale partono tut­ tora stimoli, ma dal quale qualcosa di fondamentale fugge via, che riguarda il romanzo à venir o già in progress. Costruzione del modulo Djinn dà già qualche risposta «teoretica» a queste do­ mande? Esso attua ancora il circolare, non solo perché, come si vedrà, il suo inizio si salda alla sua fine - però con una significativa distorsione o piega da nastro di Moebius; o perché certe sequenze, certe storie «contenute» rispecchiano la sequenza o storia «contenente»: tutto ciò è già noto; ma soprattutto perché vi avviene una rotazione di elementi strutturali, con le loro pertinenze linguistiche, che qualificano il discorso del r.omanzo nel suo insieme. La mise en abyme, sigillo della riflessività assoluta, cede a una mise en doute? Che cosa e in che senso, viene messa in dubbio? non semplicemente l'univocità di rap­ presentazione, la costanza dei codici, andate in pezzi da un bel po'. Questo ruotismo è effetto del campo di forze che se lo inscrive. Si tratta di forze di discorso, forze cioè che organizzano le origini e gli sviluppi della narrazione. Per 68

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