Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982

to, e ora nel sigillo la forma più sottile di copertura, il sistema di contenimento del loro volume. Così i conteni­ tori sono sempre più assimilabili all'innocua piattezza dei contenuti. Nelle cose di Ariel il volume può infatti con­ servarsi nella forma ultima del repertorio da museo, nel!'ordine prescritto della collezione. Questa sembra l'unica procedura capace di arginare, arrestare, il processo di trasformazione delle cose che altrimenti lievitano perico­ losamente verso la forma gassosa, la forma del soffoca­ mento: ossido di carbonio, gas, acetilene, bassi fumi. La mobilità delle cose nei vari stati - finché si può parlare di mobilità - è un'animazione violenta che rinvia a un modello particolare, molto presente nell'opera della Plath: l'operazione di cucina; la raccolta dei prodotti, lo spezzettamento, la cottura. Le operazioni sul cibo occu­ pano molte lettere, in particolare determinano l'attacco di «Canto di Maria». Un secondo modello per la lettura di questa «animazione» lo troviamo nella lettera del 22 marzo 1958: «Ho scoperto la mia profonda fonte di ispi­ razione, che è l'arte: l'arte dei primitivi come Henri Rous­ seau, Gauguin, Paul Klee, e De Chirico» (cui è dedicata una poesia del Colossus, «The Disquieting Muses»). In particolare Rousseau - e potremmo aggiungere anche Li­ gabue, necessariamente sconosciuto alla Plath - dipinge vegetali che sembrano avere occhi, animali che paiono erbe striate: allo stesso modo cobra, tigri, cavalli, avvoltoi, lucertole, e api popolano Ariel, tutto un bestiario in con­ tinua metamorfizzazione. Il mondo frammentario delle cose è contrassegnato dalla caratteristica piattezza della fotografia, che indica anche la sua lontananza dall'evidenza della presenza e della sensazione. In questo senso avevo considerato, nel saggio già citato, la fotografia come ultima allegoria del mondo oggettuale nel testo contemporaneo. Certi aspetti del passato fotografico, messi in rilievo da Barthes, ser- 107