Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980

diante essa la distinzione del sopra e sotto la superficie. Ma applichiamo male l'immagine se ci chiediamo se entrambi i casi si trovano o no sopra �a superficie. Ora, affinché · possiamo insegnare, nel suo significatò normale, l'espressione 'ho mentito ' al bambino, costui deve comportarsi nel modo normale. Per es., in certe circostanze egli deve 'ammettere' di aver menti i to, deve farlo con una certa espressione del volto, etc. etc.. Non è che possiamo scoprire sempre se egli ha mentito o no, ma se non lo scoprissimo mai, la parola avrebbe un si­ gnificato diverso. « Ma una volta che egli ha imparato la parola, non può dubitare se sta o no mentendo! » Questa posizione, naturalmente, è come dire che egli non può aver dubbi sul suo mal di denti, sul fatto che vede rosso, etc. Da una parte: d'll!bitare che io ho l'espe­ rienza E non è come dubitare sul fatto che qualcun altro l'abbia. D'altra parte, non si può dire �< certo che io devo sapere che cos'è che vedo» a meno che 'cono­ scere ciò che vedo ' non debba significare 'vedere qual­ siasi cosa vedo '. Il problema è! ohe cosa dobbiamo chia­ mare 'conoscere cos'è che vedo ', 'non aver dubbi su che cos'è che vedo'. In che occasioni dobbiamo dire che una persona non ha dubbi (o ha dubbi) intorno a ciò? (Un caso del tipo 'non aver dubbi se ciò sembra rosso per l'occhio normale ', e casi analoghi, qui non c'interessano.). Presumo che la conosceJ?.za di che cos'è che vedo deve essere la conoscenza che è così e così che io vedo; 'così e così' stando per alcune esp.!essioni, · veribali o no. (Ma ricordate che non mi do informazioni sul qualcosa che vedo quando lo .indico con il dito e mi dico ohe lo vedo.) 'Così e così', difatti, sta per una pa­ rola di un gioco linguistico. E dubitare su che cos'è che vedo è, per es., dubitare su . come chiamare ciò che vedo. E' dubitare, per es., se dire « vedo rosso» o « ve­ do verde». « Ma questo è un semplice dubbio circa la 100

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