Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980

denominazione di un colore, e può �sser risolto chie­ dendo in giro come il colore (indicandolo) èl chiamato». Ma tutti questi dubbi sono rimovibili con questa do­ manda (oppure, ed è lo stesso, dando una definizione: 'Chiamerò questo colore così e cosìj? « Che colore vedi?» - « Non so, è rosso o non è rosso; non so qual è il colore che vedo» - « Che vuoi dire? Il colore sta cambiando costantemente o lo vedi così debolmente, praticamente nero?». Potrei dire qui: « non vedi ciò che vedi?»? Ma, ovviamente, non avreb­ be senso. E' come se, per quanto cambino le circostanze ester­ ne, una volta che la parola sia legata a un'esperienza personale particolare, essa trattenga, ora, il suo signifi­ cato; e che perciò la posso usare ora sensatamente, qual­ siasi cosa accada. iDire che non posso dubitare se vedo rosso in un certo senso è assurdo, in quanto il gioco che gioco con l'espressione 'vedo rosso ' non contiene, in questa for­ ma, un dubbio. Sembra che, quali che �iano le circo­ stanze, io sappia sempre se applicare o meno · la pa­ rola. All'iniz-io, pare, il mio sapere era una mossa in un gioco speciale ma poi esso diventa indipendente dal gioco. {Ciò mi ricorda 11 modo in cui l'idea di lunghezza pare emanciparsi da ogni metodo particolare di misu­ razione). [Wittgens1:ein considerò insoddisfacente l'in­ tero passaggio e scrisse ' vago ' sul margine.] Subiamo la tentazione di dire: « Al diavolo tutto ciò, un'ast; ha una lunghezza particolare, comunque la esprimiamo». E si potrebbe continuare dicendo che se vedo un'asta io sempre vedo (so) quanto è . lunga, anche se non so quanti piedi, metri, etc., sia. Ma ammettiamo 101

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