Il piccolo Hans - anno VII - n.26 - aprile-giugno 1980

per render ragione del permanere della tracce mnestiche, si propone l'immagine o metafora di una forma in cui «nulla di ciò che un tempo ha acquistato esistenza è scomparso», in cui insomma i più antichi monumenti e i più moderni convivano compenetrandosi. Qualche cosa del genere, a livello psicologico, avviene in.«Alien». Attraverso i segni del racconto, come l'ontogenesi rispec­ chia la filogenesi, la scrittura fantascientifica compendia il suo intero itinerario di «genere». Dove scrive il fu­ turo, scrive nello stesso tempo, nello stesso segno questo futuro come un passato ormai di là da ogni calcolo tem­ porale, fino a offrire l'obsolescenza del proprio canone, l'archeologizzazione delle proprie metafore. Il che significa, per un altro verso, magari, che la fan­ tascienza continua ad essere viva: tanto ,per cautelarsi contro gli sdegni e le prove in contrario dei suoi appas­ sionati (mi ci metto anch'io). E' legittimo interpretare in questo modo le scelte figurali del film? Dirò meglio: anche in questo modo? Dopo tutto, quel Grande Maestro Improbabile di Sherlok Holmes, qui evocato per con­ tiguità, ricavava da molto meno (il mantello asciutto di un cavallo, per esempio) conclusioni generali assai più stupefacenti e impegnative. Giuliano Gramigna 164

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