Il piccolo Hans - VI - n. 24 - ottobre-dicembre 1979

importanza che quello ti parli o ti guardi «realmente», anzi è _ perché sai che non parla e non guarda proprio te, o se ci pensi te ne rendi naturalmente conto, che è più imbarazzante far posto al sentimento di essere fatti segno di uno sguardo: « è proprio a me che parla, è proprio me che guarda ». Su questa stessa ambiguità èJ fondata una situazione esemplare come quella della rappresentazione dentro la rappresentazione che Amletò suscita contro il patrigno nell'intento di smascherarlo. In quell'occasione ci troviamo forse davanti alla messa in scena stessa di uno dei nodi specifici della teatralità. Penso ancora alla situazione non simmetrica per cui quello che l'attore tende a rappresentare in scena è ricevuto dallo spettatore indirettamente attra­ verso le mediazioni simboliche che l'attore da una parte e lo spettatore dall'altra mettono in gioco. Forse allora è possibile avere nel teatro una evidenza, altrimenti alquanto vaga e indistinta, di quell'essere guardati dalle cose di cui parla ad esempio Lacan per circoscrivere - n concetto psicoanalitico di pulsione. Egual­ mente quelle · voci sospese nell'etere che popolano lo spazio del soggetto sembrano nel teatro, in qualche ram e felice rappresentazione come quella della Alasjarvi, far brusio e affollarsi all'indirizzo del soggetto insieme incredulo e «incantato». Le sirene hanno lasciato i boschetti _:_ appena deformando Eliot - e fuori dal parco naturale si lasciano intendere solo se opportu­ namente richieste per arte. Così pensavo come spesso per ritrovare il piacere del teatro dovessi riportarmi a situazioni ristrette, a zone sceniche particolari, simili più al tipo del cabaret che a quelle del teatro ,su palcoscenico lontano e con­ chiuso. Quest'ultimo instaura un rapporto scenico in­ corniciato e di un'altra natura. Ma una luce su una scena assai prossima, lo splèndore di un corpo lasciato 172

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