Il piccolo Hans - VI - n. 24 - ottobre-dicembre 1979

da carnefice e poi da vittima che forse una ripresa nel testo da Sade vuole sottolineare. Anche il teatro Nò, le poesie tradotte da Pound, si combina nella reverie composita che potrebbe essere di una Molly. Sola sulla scena per più di un'ora, mi sono abituato , a percepire le situazioni presentate su tre direttive es­ senziali: il corpo d'attrice che si muove con tanta pre­ cisione, il suo sguardo tenuto sul pubblico, o fra il pub­ blico e l'attrice stessa, se così si può dire, e la sua voce. Isteria nel corpo non se ne vede, con quei movimenti ogni volta così precisi, senza sfogo, tenuti da una forza piuttosto interna che esterna. E queste mi sembrano caratteristiche anche genericamente contrastanti con quello che si vuol indicare con « isterico ». La voce avendo un'andatura tra sé e sé mi pare contenuta den­ tro i binari traociati dalle altre due direttrici. Lo sguar­ do invece, terzo elemento, porta un tale rovesciamento nella situazione attrice-pubblico da far pensare a qual­ cosa -di preciso e interno alla natura della presenza scenica. L'intefldizione scenica, più precisamente filmica, di gua11dare verso lo spettatore, meglio verso l'obiettivo, mi sembra che garantisca una zona franca dentro cui alloggia lo sguardo di chi assiste. Una zona sospesa, so­ stenuta precisamente dal piacere sottile di guardare senza essere visto. Così la scena si lascia vedere tran­ quillamente, ogni sguardo è buono, distratto, ammirato, partecipe, severo ecc., mentre davanti agli occhi si snoda l'azione, lo spettacolo. Ma che accade se, sia pure discretamente, l'attore, l'attrice, gua!ldano a loro volta; se soli in scena hanno come unici interlocutori se stessi o ogni singolo spet­ tatore? Qui precipir tano le cose. Infatti altro è un at­ teggiamento di vagQ e indistinto « rivolgersi » al pub­ blico, e altro è se l'attore . prende dalla sfera solitaria degli sguardi che conflui , scono sulla scena senza incon- 170

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