Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

del ricordo istituzionalizzato, direi grammaticalizzato, cioè l'imperfetto, comanda per contagio la narrazione del sogno. Lo sottolineo perché questo tempo, come spero di dimostrare, non riguarda il sogno. Difatti, al sesto verso, ecco insorgere un presente («distaccasi») di cui non sarà indifferente la collocazione sintattico­ metrica privilegiata. Questo presente è il vero tempo del sogno e cade proprio sul verbo che indica (rac­ conta) l'azione fondamentale del sogno stesso: il distac­ carsi della luna dal cielo. Come tempo onirico (coin­ cidenza dell'enunciazione e dell'enunciato), esso si pro­ lunga, al disopra degli imperfetti e del passato remoto che gestiscono la descrizione del fenomeno fino a rag­ giungere i due verbi («immergi», «spegni») solo in apparenza laterali, esplicativi, in realtà fondamentali al prodursi dell'effetto-sogno: le tappe successive di tra­ sformazione della luna, elencate nei versi 6-12, rien­ trano difatti tutte nel campo semantico fortemente segnato da «immergere» e «spegnere». In aggiunta, si potrà osservare che il «come ho detto» riequilibra, anzi cancella nell'attualità dell'enunciazione la presa di distanza implicità nel «parea» del 6 verso, che sem­ brava reintrodurre la distinzione canonica fra veglia e sogno, fra «realtà» e «visione» etc. Una prima deduzione, sia pure parziale, a questo punto: il sistema di scrittura del sogno non accetta più di porsi come subordinato - secondo tradizione - al si­ stema di scrittura della realtà di veglia; a questo scopo s'appropria di una marca linguistica temporale, il pre­ sente, che nella distribuzione normale del frammento spetterebbe all'atto del raccontare non al raccontato, cioè alla situazione di discorso nella quale viene intro­ dotto il sogno. La scrittura del sogno non si propone dunque come momento (inferiore) di libertà fantastica, di divertimento o vaneggiamento octroyé dal sistema tutore ossia dalla scrittura della veglia, ma come stru- 8

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