Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978
il supposto pronome « voi» si amplifica a comprendere, nonché il dottor S., ogni eventuale lettore in smania di psicoanalisi selvaggia e al limite quello Svevo che af rferma: « Ma quale scrittore potrebbe rinunziare di pen sare almeno la psicoanalisi?»). E' difficile non leggervi una sorta di Verneinung. Ma ciò che affascina e la rende non estrapolabile dal caso Svevo, è che tale negazione passa attraverso la psicoana lisi per investire la letteratura, o si dica meglio la scrit� tura. Il confronto è di natura assiologica, e si situa, prima di tutto, all'interno della Coscienza di Zeno. Una improvvisa caduta di valore investe tutta la scrittura voluta dal dottor S., cioè la confessione autobiografica che costituisoe i quattro quinti del romanzo (oltretutto, per inadeguatezza linguistica: « in ogni nostra parola toscana noi mentiamo.»), anche se ancora vi si contrap ponga il prodursi di un'altra scrittura, la scrittura della negazione {o purificazione): « Scrivendo, credo che mi netterò più facilmente del male che la cura mi ha fatto». Ma la dicotomia interna alla Coscienza non fa che riprodurre quella che regge l'intero sistema di rapporti di Svevo con la letteratura, in certo senso paragonabile con il sistema di convivenza fra Zeno e il fumo. Qui la biografia non è che un appoggio. La domanda si pone così: che valore attribuire allo scrivere? Il termine o valore antagonista non sarà sem plicemente, come vorrebbero indurre a credere le let tere, le confessioni, perfino un certo mito sveviano (in proposito ha presentato risultanze molto acute Marcello Pagnini), la famiglia e/o il commercio, gli affari etc., ma esattamente il buco del non-scrivere: inattività pro fonda mascherata, se si vuole, di attività, eudemonismo del dirsi « al riparo dalla letteratura». Nella struttura narrativa della Coscienza, il sogno funziona pertanto come un meccanismo che consente all'autore una rimo zione discreta. L'uso che se ne fa, è l'uso di un fantasma, 20
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