Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

suo disagio, avverrebbero tramite la negazione dell'al­ terità rappresentata, appunto, dalla donna. E' opportuno, non tanto al fine di rendere giustizia a iLacan, quanto in nome di una meditazione che ha avuto, tra l'altro, il merito di smascherare gli univer­ salismi di un immaginario Sapere-Potere, sottolineare come le posizioni da Lacan espresse, per esempio, in Encore, si collochino sul versante opposto a quello de1le molteplici ' metamorfosi del cerchio ' attraverso le quali il Logos occidentale si è venuto manifestando come coazione all'Ordnung, e di cui il gesto nullifi­ cante di Weininger è una delle più paradossali testi­ monianze. Mi sembra, ed è quanto cercherò di mo­ strare, che proprio la riflessione attorno alla donna mantenga Lacan equidistante tanto dalla metafisica in­ tesa, per dirla con Rey, come « misconoscenza della ca­ strazione » e quindi come istanza fallogocratica (Der­ rida) quanto dalla mitologizzazione dell'alterità asso­ luta (come avviene, ed ha ragione Rella nel sottolinearlo più volte, in Deleuze e in Guattari). Ed è da Weininger che occorre partire, mettendo in evidenza come la sua soppressione etico-ascetica della differenza abbia un senso ben diverso dalla laca­ niana 'impossibilità' del rapporto sessuale. • Mi sem­ bra, intanto, che lo stesso Rella colga elementi di estrema chiarezza quando, a proposito del pensatore austriaco, parla di un « fascino della parola piena, che sembra riscattare al di là della ' miseria ' storica, della frantumazione e della pluralità dei soggetti, una nuova integrità » (prefazione a Sesso e carattere, Feltrinelli 1978, pag. 31). E' vero che in Weininger la parola piena è l'eccesso di un linguaggio che non può più dire il conflitto e la contraddizione, e che anzi re­ staura una pax apparens 'oltre' il conflitto, e quindi ' oltre' il mondo (il linguaggio) dove esso si manifesta. Ma è anche vero che questo oltre, o se vogliamo questo 193

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