Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

con frequenza addirittura sospetta, all'inizio deM'ultimo oapitolo. E' il capitolo in cui Zeno rinnega apertamente la psicoanalisi ma, viene da osservare, non appena con il vocabolario della psicoanalisi, con la sua lingua. Uno di questi referti onirici -spicca fra gli a:ltri: èl un «dop­ pio sogno» giiacché Zeno vede se stesso bambino dor­ miente «in preda a una �-etizia che pervadeva il suo minuto organismo». Ta:le sogno ha a che fare con una specie di gabbia nella quale siede una donna bionda, vestita di nero, «i piccoli piedi in scarpine laccate» che splendono appena dall'orlo della gonna. «Il bambino sognava di possedere quella donna, ma nel modo più strano: era siouro cioè di poterne mangiare dei pezzet­ tini a:l vertice e Mia base». Il testo sveviano, a questo punto, rimanda non senza intenzione a se stesso, cioè a un passaggio precedente del libro, dove un sogno pressoché analogi di cannibali­ smo viene fatto da Zeno poco prima di diventare l'amante di Carla. Il rimando serve soprattutto a intro­ durre un'·esplidta censura a carico del dottor S. inca­ pace di cogliere il collegamento, sebbene abbia letto «a quanto dice, con tanta attenzione» hl manoscritto del suo paziente. L'impiego del sogno rientra qui nella gestione strategica che Svevo-Zeno fa della propria ambivalenza non solo rispetto alla psicoanalisi ma alla letteratura. H sogno riferito in seduta al dottor S. serve per dene­ gare in qualche modo f'Mtro, immesso nel racconto vero e propri.o. Dove quest'ultimo funzionava da elemento psicoanalitico «libero» proprio perché completamente strutturato nella narrazione, il sogno esibito nell'ultimo capitolo insieme con un'«inte:q>retazione» in chiave iro­ nica e demolitoria (che . a'ltro è se non un'interpreta­ zione a rovescio la denuncia dell'inettitudine del dottor S. a connettere i due reperti onkici?) viene a dire pres­ sapoco così: ho fatto questo doppio sogno, ma esso non ha per nu1la il significato che vorreste affibiargli (dove 19