Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

fonema zero: un segno che può essere un valore qua­ lunque, precisamente come il jolly nel giruoco delle carte. Il jolly, ovvero la carta vuota. Non parlata. Ma che può essere tutto. Attraverso l'imprevedibilità di questa carta non saputa, non ancorata a un valore fisso, si dà la nuova combinazione. Il vuoto di senso si fa così produttivo di senso: rimettendo in moto la produttività del linguaggio. Nella posizione dello zero èl anche Amleto in quanto mancante alla propria identità: perduto il trono, egli ha perduto la persona, o la maschera sociale, il luogo, e il nome. Tiene la scena per mancanza, in quanto spo­ destato. E chi più spodestato del mendicante? A beggar I am dice di sé Amleto, ancora qui sottolineando la sua solidarietà al fool. Solidarietà che trova anche Lear, il Re pazzo che abbandona il trono e si trova ad essere anche lui nel posto del fool: sovrano della propria follia. In entrambi i casi questa risulta essere la mossa della vierità: Amleto scoprirà lo zio, e farà venire a galla l'assassinio prima coperto. Lear scoprirà il proprio errore, e la propria illusione, giungendo così alla ma­ turità: e... ripeness is all (la maturità è tutto), dice Shakespeare. In entrambi i casi dunque il fool opera quella che Deleuze definisce la donazione di senso: attraversando Amleto H nonsense della follia, Lear il vuoto della landa insieme al fool, approdando alla ripeness di uno sguardo che, adesso, alla fine, ha visto tutto, e il rovescio di tutto. E' attraverso il fool difatti che a Lear, e ad Amleto, è permessa l'esperienza dell'altro polo di si­ gnificazione entro cui è stretta la ,corte: o, più sempli­ cemente, l'esposizione ad runa apertura di linguaggio altra rispetto al segno obbligato e codificato del ceri­ moniale del Sovrano a corte. Tutta la meditazione di Lear è in fondo intorno a quel nothing che cadendo dalle labbra di Cordelia, e raccolto dal fool, echeggerà 54

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