Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

rato. Il folle ha - qui - la paro'la della verità: in quanto, aprendo fa bocca, da lui spira un rfiato che viene dall'altro mondo, e in quanto da lui le parole cadono inconsapevolmente. E' qui, il natural di biblica me­ moria: che conosce in virtù della sua assoluta igno­ ranza: l'ultimo, ma il primo, il più pover o ma i'l più ricco. Il più disgraziato, ma il più felice. Fool, vuoto, aria: e dunque luogo in oui tutto può arrivare ad acca­ dere. E' come se lui rivelasse come tutto è simulacro: fool, un niente; ma anche full, un tutto. E' l'epifania finale di Macbeth: l'ultimo atto, e l'ul­ tima visione del Macbeth assassino, calcolatore, colpe­ vole, Re; dove la fila degli aggettivi dice la distanza in cui il Re si è tenuto durante tutto il d r amma rispetto al fool: che è invece innocente, sbadato, evasivo, obliquo rispetto a qualunque progetto, o scopo. Pure, aHa fine, Macbeth coglie il simulacro, e conosce la verità: non è stato durante tutta la tragedia Re, ma è! stato un fool. Non solo nel senso ,debole dell'essere stato sciocco: perché ha perduto tutto, e non ha afìfer-rato niente. Ma nel senso forte, perché è arrivato a vedere, final­ mente, il senso-nonsenso della sua storia. Pool, perché full of sound and fury, signifying nothing, così l'eroe tragico Macbeth riassume la sua vita: « un'ombra che cammina. Un povero commediante che si pavoneggia e agita sulla scena del mondo per un'ora, e poi non se ne sa più nulla. La storia di un idiota, piena di ru­ more e di foga, dhe non significa nulla». Il Re rove­ sciandosi nel fool arriva al nulla: dal massimo di senso, la posizione sovrana del Re, a:l massimo di non senso, il nonsense, il nothing del fool. La verità metafisica del fool è questo zero: vuoto di senso scritto già come destino, e come condanna, nel suo nome. 1 « Tutto l'immenso discorso del folle», dice Foucault certo parafrasando Macbeth, « si risolveva in rumore. La parola gli era data simbo:Iicamente sul teatro in cui 48

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