Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

e perché divagante il modo stesso del suo discorso, è pure terribilmente insistente. Insiste, e in quell'insi­ stenza trova conferma al suo esserci. Esiste, in quanto non abbandona. Così il mitico Marcolfo girerà tutto il mondo per trovare, prendendo alla lettera il verdetto di morte di ,Salomone, l'albero a cui essere impiccato. Non avendolo trovato, sarà salvo: ad insistere, si esiste. La leggerezza, la mobilità - agilità fisica, mobilità linguistica appartengono alla etimologia della parola an­ tica: follis è legato in latino difatti all'aria, e al soffio: a una leggerezza tale da rappresentarsi in vuoto. Che di più leggerro di un sacchetto di pelle pieno di aria? Saochetto che emette suoni, a modularne l'apertura. Dunque un corpo - un saoco di pelle, pieno di aria perciò vuoto. Ma di quel vuoto di aria fa suoni, o pa­ role. Dalla « metafora del vuoto o movimento incon­ trollato» - dice il Battaglia - « si sviluppa il senso di testa vuota, matta, già nel V secolo d.C. ». Viene in mente quel grande otre di Falstafìf, that ton of flesh come lo chiama il principe Hal: quella montagna di grasso piena d'aria, che dà fiato e parla. Connesso al fool fin dalla radice etimologica è dunque il vuoto, l'im­ magine di un saoco, rotondo, ciPcolare, conchiuso - come uno zero. Accanto al vuoto, l'altro tratto etimo­ logico forte, presente nella radice attraverso l'aria, e il suono che essa emette, è la parola, come emissione appunto di un suono incontrollato: da una testa vuota che altro ci si può aspettare? Del fool è così « tipico» il parlare, tanto e a vuoto. Ma l'emissione di parole « prive di senso», o inJCom­ prensibili ai più, porta in campo un'altra immagine, quella della Sibilla: di chi pone la parola come mistero, o riddle, rebus, enigma da sciogliere. E fissa il fool in una posa estremamente interessante: come colui che del linguaggio fa questione. Dice ad esempio che necessita di interpretazione. Portando nel discorso la necessità 45

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