Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

Però non è tutto qui. C'è una logica in questa follia allucinatoria. C'è una ragione. Che non la giustifica (per­ ché certe orgie di pornografia politico-sentimentale alla «Lotta Continua» non sono giustificabili) ma la spiega. E la spiegazione non è inutile per noi. Per lo meno può farci capire come è mutato - come sta ogni giorno mutando - il presupposto del raccon­ tare. Chi raccontava una volta si premurava di fornire le pezze di appoggio dei suoi viaggi immaginari. Se era Robinson ohe finiva su un'isola deserta, aggiungeva su­ bito dopo: badate che quell'isola deserta è proprio vera, c'è. Tutto il romanzo delle origini - il grande romanzo inglese del Settecento - è preoccupato, a volte ossessio­ nato, - dalla incombente necessità di documentare l'e­ sattezza, la corrispondenza ad un referente esterno dei racconti che fa. E non finisce lì. Anche chi racconta dopo, chi racconta in pieno Ottocento il ventre di Parigi o i macelli di Chicago, trae un qualche titolo di dignità dal poter dire: signori lettori, le cose che vi ho riferito potranno piacervi o meno; posso avervele presentate bene o male, ma una cosa è certa: che sono vere. Io faccio concorrenza al codice civile, al catasto urbano, allo schedario riservato della polizia, eccetera. Natural­ mente non era vero. Ma naturalmente non è questo il punto importante. E i,l cinema? Quando arriva il cinema - questo nuovo modo di raoconnare che si presenta e si afferma sul crinale del secolo - non accade forse la stessa cosa? Una pesante ipoteca «documentaria» pesa sul primo cinema: le cose che vi mostro, vale la pena che siano mostrate e viste, perché sono «vere». Oggi è tutto cambiato. Come? Perché? Lo dirò con un esempio. Un esempio fra i tanti che potrei dedurre da una oerta tradizione di «spy�stories». Per restare sul crinale fra cinema e narrativa mi riferirò ad un film, ad un recente film di Don Siegel «Telephon». 126

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