Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

mamente - il presupposto del raccontare - così come si presenta oggi. Ma andiamo con ordine. Sergio Pinzi ha detto (mi pare, e se mi sbaglio mi vorrà correggere): nell'analisi che Nadia Fusini fa del « fool » c'è un pregiudizio fa­ vorevole a lui, al « fool », al buffone. Ed ha aggiunto. Stiamo attenti: Partendo di qui si approda ad un pre­ giudizio favorevole a quel tipo di verbiage, di chiacchie­ riccio, di predominio indiscriminato della parola - co­ munque presa, da chiunque presa. Un pregiudizio favo­ revole a quell'illusione - diffusa ingenua e perniciosa - che presa della parola sia presa del potere (mentre è vero talvolta il contrario: ci sono situazioni analitiche in cui fra paziente e analista non passa una sola parola. e tuttavia la seduta è pelfettamente riuscita). Non è vero: non è vero che il prendere la parola sia prendere il potere. Questa illusione - ingenua e per­ niciosa - può risultare qualche volta addirittura più oppressiva, nella sua verbosa inconsistente vacuità, della cosa che pretende di contrastare. Ritengo che Pinzi abbia perfettamente ragione. Cono­ sciamo tutti abbastanza quel fenomeno di intensa ideo­ logizzazione del reale che è poi la fal'Sa ricchezza dei poveri: io non ho niente, non so niente; sono assoluta­ mente impotente. Però, perbacco ho un bellissimo qua­ dernino nero S).11 quale segno giorno per giorno i buoni e i cattivi, i riformisti e i rivoluzionari. E perbacco, non me ne sfugge uno: Via Marx che era maschilista, via Freud che era repressivo, via Jung ohe era fascista, eccetera eccetera. Alla fine rimango soltanto io, che te­ stimonio col mio drammatico « star male » della purezza incontaminara delle mie rivoluzionarie tensioni e inten­ zioni. La parola è mia e ne faccio quel che mi pare. E' una procedura allucinatoria, consolatoria che ha or­ mai le sue istituzioni. Una delle quali è certamente la ben nota pagina delle lettere di « Lotta Continua ». 125

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