Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

e 'l v6do dela testa-tera») e, viceversa, della sillaba­ zione onomatopeica, naturale, rappresentata dal canto degli uccelli (p. 83, «osèi che te à inparà da tant / te parlarà inte 'l sol, inte l'onbria»); sino al tema, già segnalato, della lingua cosmica, ctonia e interstel­ lare, dei vivi e dei morti, degli umori primevi e della ossificazione finale. Come abbiamo già fatto rilevare a proposito di que­ sti ultimi brani, la metafora · - qui attualizzata nella dimensione sintagmatica del discorso, ma nelle sequen­ ze anteriori presente invece virtualmente sul piano del paradigma - è a desinenza concettuale: i tre termini, corpo-terra-lingua, possono infatti essere relazionati tra loro in base a rapporti noetici (semici), ma non in base ad una comunità di campi semantici e classematici. Possiamo quindi confermare quanto avevamo detto: è la struttura mentale della lingua del concetto che irisulta qui depositaria, o responsabile, del �< poetico», mentre all'articolazione della lingua corporale, all'arti­ colazione del dialetto in quanto realizzazione dell'ordine semiotico, pertiene la dimensione del «prosaico», del­ la «non-poesia». Nel caso di Filò, sono insomma la differenza e la separazione che le strutture mentali ri­ flesse introducono nel continuum della lingua della corporalità, che sono responsabili degli effetti «di poe­ sia», e cioè degli effetti di conoscenza. E' lo slogamento del continuum dialettale, il suo andar fuori fase, fuori ritmo, che porta il senso del testo, che fa l'eccezionale (anche, probabilmente, nel senso di irripetibile), com­ plessa bellezza di questo testo. Il quale ricava, come si èJ visto, dalla tensione di contrari quali: «strutture men­ tali virtuali della lingua» vs «strutture linguistiche at­ tuate del dialetto», la propria polarità irriducibile e costitutiva, e porta a qualificare - inversamente ai ca­ noni acquisiti dell'operazione poetica in genere e agli 74

RkJQdWJsaXNoZXIy