Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

tato e rimosso, su cui si fondano la norma e l'interdi­ zione {lingua del padre). Nel caso di Petrarca, invece, . la diglossia non viene neutralizzata ma è mantenuta fruttuosamente in attività proprio nell'ambito dell'applicazione letteraria globale. Così, se il latino, per Petrarca, rappresenta la lingua in cui vengono redatti non solo i grandi testi della gloria mondana (Africa, De viris illustribus), ma anche le varie esperienze di vita, sia quelle ufficiali, professionali - o comunque pubbliche - nonché domestiche (cfr. le lettere, dalle Familiares alle Sine nomine), sia quelle . strettamente private, del tutto sprovviste di destinatario (le annotazioni in margine al manoscritto del «Canzo­ niere»), configurandosi, perciò, come la lingua per eccel­ lenza del simbolico, il volgare rappresenterà, e senza equivoci possibili per l'operatore, la sua lingua più re­ mota, più regressa, la lingua «materna» appunto, quel­ la che Contini, con mirabile, precocissima formulazione, definiva « lingua della nutrice e del paradiso» 6 ; lingua che, in quanto sede di «esperienze assolute», non po­ teva essere adibita a nessun'altra funzione espressiva oltre a quella che trovava la sua sede nei << Rerum vul­ garium fragmenta ». Ritornando al nostro argomento, nell'operazione at­ tuata da Zanzotto in Filò il dialetto viene dunque a rap­ presentare, in opposizione alla concomitante pratica del­ la lingua ufficiale (nazionale), la riserva di un dire sot­ tratto alla simbolizzazione, anteriore ad essa, più mo­ dulatorio che articolatorio, più personale che collettivo, pre-grammaticale, coinvolgente totalmente il soggetto nel suo rapporto alla realtà. Lingua del desiderio pre-edi­ pico, non toccato dall'interdizione, il dialetto in questo caso rappresenta benissimo quello che Julia Kristeva, con riferimento al concetto platonico di ·« chora », de­ signa come «ordine semiotico»: e cioè quell'ordine an­ teriore ai piani del significato, fondato sulla motilità 65

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