Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

drammatico proprio perché non c'è più il rito della sala e della proiezione, ma un'apparenza di continua contemporaneità; se al cinema {specie con i film lunghi lunghissimi) c'è ancora lo sconcerto del tempo espro­ priato, alla televisione si ha sempre (anche quando passano i film) l'illusione di vivere un proprio tempo senza scissioni, proprio perché la TV è come se fosse sempre «in diretta», è sempre in azione garantita e sicura. Se chiudono i cinema, resta l'immagine cinema­ tografica sempre più perfezionata; se l'apparato smobi­ lita o si riduce di dimensioni (anche per quel che ri­ guarda l'apparecchio di ripresa: vedi il videotape, etc.), resta la possibilità di infiniti punti nello spazio da cui girare (per scopi militari si sta mettendo a punto una microcamera che risulterà quasi invisibile); se cade lo schermo, c'è la possibilità dell'ologramma. Ma questo è ancora il settore dei mezzi e delle macchine per proiet­ tare e produrre immagini: come appunto la televisione che - lei sì - può ·«vedere tutti i film», come il com­ puter che solo potrebbe analizzare (si può dire «vede­ re», Hal?) l'ipotetico film di un secolo, come le mac­ chine che già riprendono in continuazione (in genere per scopi di controllo; vedi tutti gli impianti a circuito chiuso, dalle banche alle fabbriche) senza nemmeno più la finzione del «sujet» (i filmati di queste macchine sono realmente visti in genere solo dalle macchine stes­ se). Mentre, ben al di là della metafora secentesca (che resta metafora) del theatrum mundi, è tutto l'esistente stesso (del novecento) che è percepito e si percepisce e si riproduce come spettacolo, come continua e sia an­ che catastrofica «performance». L'occhio che ha tanto guardato il cinema, che tanto è stato guardato dal ci­ nema, guarda tutto ormai come cinema (e ne può cam­ biare anche il modello del mondo); contemporaneamen­ te l'occhio si dissolve perché è lui stesso «guardato» all'infinito da ogni punto, l'occhio passa in tutto il 164

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