Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977
così non riesce a esistere il film che voglia dire «tutto», essere lui (se non il cinema) «totale», «ultimo»: no nostante tutti i tentativi (specie appunto gli ultimi: vedi i film di Bertolucci Rocha Jancso Anghellopoulos Ku brick), il piano filmico della fisicità non viene mai inte gralmente dominato e mostrato, e al massimo è la me tafora ad essere totale (gli esempi sono molti: da Il sepolcro indiano di Lang a Intrigo internazionale di Hitchcock, da 2001: Odissea nello spazio e Arancia mec canica di Kubrick a Providence di Resnais). Ma la contraddizione resta; nessuno potrà mai vedere tutti i film che vengono e sono stati prodotti - in gran parte - per essere visti da tutti (è l'aporia insita nel concetto del cinema come arte «popolare», in realtà tale solo per la potenza del capitale o per l'intervento dirigistico che pianifichi la produzione: dieci film al l'anno e solo quelli da vedere...). Nell'accumulo, i «film di due ore» producono ugualmente un testo invivibile e invisibile, enorme, imparagonabile, un «tempo» non percorribile e ossessionante nel percorrere il suo «sen so» (in fondo, non un testo). Questa contraddizione di fondo, in un mondo di oggetti filmico-spettacolari che infine propongono la maschera come totalità, è sempre stata avvertita nel cinema che lottava contro di essa, anche proprio all'interno di quello hollywoodiano, il più perfettamente contraddittorio. Il millenarismo catastro fico insito in Hollywood da molto prima del genere «catastrofe» si trovava già non casualmente filtrante nei famosi romanzi di West (The day of the locust) e di Fitzgerald (The last tycoon) - ora naturalmente por tati sullo schermo -, e nella vita eternamente spaven tata e sospesa dei «divi» (cfr. Morin) costretti a «vi vere» nell'ambito i,n cui ·« la mort (est) au travail» (Le cinéma selon Cocteau), lontanamente consci della loro parzialità a confronto con una macchina produttiva che potrà riprodurli per sempre e renderli quindi per sem- 162
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