Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977
sbrigliamento (anche puramente mentalè: qui...) sul pia no della durata, della lunghezza. Il «film di trent'anni» - parlo , sempre del filmteatro che ha bisogno di essere proiettato in un «teatro» - ipotetico potrebbe essere «visto» solo a patto di passare e impegnare in ciò trent'anni della propria vita; il ° « film di un secolo» sarebbe matematicamente invisibile in rapporto a uno spettatore-soggetto isolato; il più bel reperto di cinema antropologico o ·«scientifico», se troppo lungo, reste rebbe letteralmente non consultabile; le bobine della «storia · del mondo» potrebbero esser viste solo a pez zetti, per assaggi e tentativi qua e là («esploratori» potrebbero perdere la vita tentahdo di arrivare «più in là» nella «conoscenza»...). No more science-fiction (ché poi infatti il cinema di fantascienza èi rimasto a livelli irrisori sul piano dell'invenzione...). Non è difficile comunque capire allora perché tutto il cinema (in qualsiasi paese) si sia fino ad oggi eserci tato in direzione di una «gestione. del tempo» rigoro sissima: quando si pàrla di «efficacia» filmica si allu de alla concentrazione di parecchi «significati» o pa recchi «segni» (o azioni) in un tempo definito, la stan dardizzazione nel numero dellè inquadrature per film all'interno del cinema americano classico e il «mon taggio» eizenstejniano vanno nello stesso senso, e ogni manuale di tecnica insegna a tralasciare i «tempi mor ti» (illusori?) per «saziare» di materiali e· di cose nar rate il tempo-cinema che di tempi morti non ne ha mai. Il fatto che nella quasi totalità . i film girati dal 1895 · ad oggi durino meno di due ore è - al di là delle spie� gazioni empiriche immediate - di per sé stupefacente. Questa gestione �, economica» del tempo (fino al foto gramma subliminal1e) tende esorcisticamente a rendere «neutro», standardizzandolo in una misura corrente (il film potrebbe perfino, grazie al suo carattere di «con tinuità» e appunto alla regolarità media delle «dura- 160
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