Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

quasi immediatamente in spettacolo, in un explqit che si mostra. E oggi di questo spettacolo si vaticina, si teme, si invoca la morte, come è sempre avvenuto a ogni sensibile diminuzione nel numero degli spettatori, come avvenne in USA coll'avvento massiccio della tele­ visione. Il mito della morte del cinema è legato, non solo psicologicamente, proprio alla rigorosa determina­ zione cronologica della «nascita » e alla separatezza del cinema (insieme con la fotografia) da ciò che lo pre­ cede; se qualcosa (di nuovo) si è prodotto è stato pro­ dotto, dovrà avere almeno (se non un fine) una fine. Altri inizi del resto (il parlato sonoro, il 3-D rapidamente rientrato) hanno successivamente rimandato a una «conclusione ». In realtà questo · è solo un millenarismo di tipo «tec­ nico », prodotto dalle contraddizioni tra sviluppo tecno­ logico e capitale; le varie novità sono un seguito di tran­ sizioni attraverso le quali l'apparato di produzione viene reso oggettivamente sempre meno sicuro e sempre più superfluo, per cui lo stesso apparato cerca di masche­ rarsi. come «indispensabile » e di riaffermare il (mondo del) cinema come «separazione». Cosi, il cinema USA assunse molto presto la forma del monopolio (cfr. Ci­ néma et Monopoles di Mercillon, Parigi 1953), ed è noto come il progresso tecnico sia stato e sia tuttora (dall'in­ troduzione del sonoro e del colore alla diffusione di macchine poco costose) spesso frenato ad arte (interes­ sante il caso minimo e ovvio della «durata» del film­ pellicola intesa come resistenza al deterioramento, che non è affatto aumentata negli ultimi decenni). E' però sempre più difficile, per l'apparato cresciuto intorno al vuoto assoluto dentro alla m.d.p., mantenere la sua ma­ schera di indispensabilità e di totalità (della riprodu­ zione e non solo); nella società spettacolistica che è tutto l'esistente ingoiato come spettacolo, il cinema non può pretendere di gestire totalmente lo spettacolo stes- 156

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