Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

sequenza, appunto quando l'utopia , si fa discorso espli­ cito. Le prime due volte {inq. 13 · e 15) in relazione alle allusioni minacciose di Francesco (utopia rivoluziona­ ria), poi, lungamente e sistematicamente, nell'evocazione di quel che verrà dopo, il sogno del comunismo (« ... lag­ giù non nevica mai, l'erba è sempre verde... tu stai sem­ pre con me giorno e notte...»). 3. Il controcampo « v�oto ». Ne resta trasformata la nozione stessa di controcampo, perché qui non si tratta più di fornire alla vista l'« altra metà» dello spazio, di chiudere l'orizzonte facendo combaciare, mediante l'al­ ternanza delle inquadrature, i due semispazi in una to­ talità immaginaria. Da una parte o dall'altra la cine­ presa si trova comunque di fronte all'irriducibile sguar­ do fuori spazio di uno dei due personaggi; si viene a costituire un sistema analogo a quello formato da due · specchi contrapposti in cui lo spazio si dilata a dismisura. Ulteriore articolazione fra codice ideologico e codice spaziale: il luogo dell'utopia è appunto la pianura , spazio vuoto, spazio altro rispetto alla montagna in cui siamo, non visibile da essa se non appunto guardando nel vuoto a occhi sbarrati. Sogno a occhi aperti. Se il controcampo classico, che necessita di stabili punti di riferimento, ha l'effetto di rendere «_duro» lo spazio, popolandolo di poli della visione, qui, in un ambiente montagnoso che di punti di riferimento sa­ rebbe pur stato ricco questi non vengono mai utilizzati: la montagna è spianata, l'utopia è possibile. Nella pianura o sulla montagna livellata e privata di punti di vista (e « a vista») non ha luogo quindi lo sguardo, per definizione elevato, dominante, dell'Au­ tore. L'autore, soggetto pieno e coerente, non può assu­ mere quello sguardo che il contocampo rende ubiquo. Chi (ci) guarda qui non è il soggetto dell'enunciato 151

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