Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

7. Al cambiamento di taglia nei film corrisponde esat­ tamente la ricerca di una nuova funzione. Rischiamo una definizione, magari un po' imperfetta? Diciamo che il cinema si culturalizza: il che vuol dire almeno due cose, e cioè che vien preso in gestione da un ambito che non è stato �ai il suo, e che viene inserito in una rete fittissima di discorsi che gli fanno scudo. Ritor­ niamo a parlare di qualcosa cui abbiamo già fatto cen­ no: è infatti nel momento in cui si riconosce come attività settoriale o in cui si qualifica apertamente come un « fare », che il cinema o meglio i film mostrano di far corpo con tutta una serie di interventi ad essi soli­ dali. La coincidenza non è casuale: un cambiamento di taglia si unisce all'emergenza di parole, e di parole di un certo tipo, proprio perché ciò che cede è una mac­ china complessiva il cui procedere era silenzioso, o al massimo chiacchierato; non era necessaria nessuna co­ noscenza « specifica » per seguire quello che era uno spettacolo - bastava al massimo il brusio di qualche pettegolezzo, tanto per sapere chi era veramente la pn­ pria « fidanzata » di turno -; mentre ora, se il film è per pochi addetti o se è il residuo di una pratica com­ plessiva, è d'obbligo saper sostenere la qualità di un discorso, saper apprendere e saper maneggiare. Insom­ ma, il cinema è finalmene parlante: solo che parla - letteralmente - nelle università, nei cineclub, nelle ri­ viste specializzate; parla là dove circola; parla dove non può far a meno di parlare, se vuol essere visto. (E questo dà ragione anche - lo dico in termini del tutto sommari e con un corto circuito un po' affret­ tato - del · fatto che paiono più riversibili che mai i ruoli di chi parla guardando e di chi mostra per far a sua volta parlare: non c'è una diversità di pratica che separa i due versanti, ma c'è l'omogeneità del discorso che li unisce). 126

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